giovedì 17 maggio 2007

Enigmi

Fra pochi giorni si concluderà la retrospettiva di Giorgio De Chirico nella suggestiva cornice di Palazzo Zabarella a Padova, il cui cortile di accesso alla mostra mi ha già di per sé rivelato aspetti metafisici :-)

Giorgio De Chirico, il «conservatore rivoluzionario», uno che aveva saputo tradurre in invenzioni diverse, nei primi tre decenni del secolo, il risvolto oscuro della modernità, già indagato dai filosofi del «pensiero negativo». Aveva evocato gli enigmi dell’esistenza, dietro l’opaca consistenza delle cose quotidiane e banali. Ne aveva rivelato l’insensatezza, nel crollo delle certezze della ragione. Aveva sublimato ipocondria e narcisismo svolgendo i temi della malinconia, della finzione, del sogno. Aveva presagito la crisi del «progresso», con intuizioni visionarie ad altaintensità: l’errare come Ulisse verso l’ignoto, l’umanità «senza volto». Come antidoto liberatorio alle costrizioni del Logos aveva rilanciato il Mito, versione mediterranea della «gaia scienza» propugnata da Nietzsche. E dunque la poesia, il gioco, come conoscenza. L’affioramento dei ricordi come sparse perle di una collana della memoria. Ma proprio la rottura del filo logico comporta lo sguardo straniante, la distanza dell’ironia, l’eco della solitudine e del silenzio, l’appiglio della citazione. L' "Enigma dell'oracolo" è il quadro di magnetico smarrimento che apre la stagione dei sondaggi oltre i limiti visibili delle cose, meta physiké: le «piazze d’Italia» nella luce pomeridiana di ombre lunghe, con le pensose statue-personaggi (spicca la Malinconia del 1912) e i ripidi portici ciechi, le torri e le ciminiere in erezione solitaria contro cieli acidi. I muretti che precludono infiniti leopardiani, dietro cui scorre una vela o uno sbuffo di locomotiva (il padre era ingegnere ferroviario). I sogni inquietanti: carciofi, banane, ananas associati con giocattoli o armi. Le allucinazioni del 1914: il fantasma del padre morto (Il ritornante ovvero Il cervello del bambino), il veggente con occhio bendato (La nostalgia del poeta), il primo dei profetici manichini, androidi con organi geometrici (Il viaggio senza fine). Serie che prosegue, anche con il gruppo dei Trovatori , sino al 1922-24.Nel periodo trascorso a Ferrara (1916-17), città della metafisica, si accumulano, in stanze da soffitta, biscotti, giocattoli,stampi di pesci, lavagne astrali, atlanti, mostrine militari, righe e squadre, quadri nel quadro, «pesci sacri». Epifania del quotidiano, riassunta nella parola aidelon, «invisibile», stampata contro la colonnina di un termometro nel Sogno di Tobia. De Chirico afferma: «Bisogna scoprire il demone in ogni cosa».Un «secondo tempo» metafisico è segnato dal ritorno a Parigi fra il 1925 e il 1929, quando De Chirico riprende - seppure per poco - i rapporti con i surrealisti che lo avevano salutato come maestro e precursore: mobili chesi accumulano come personaggi monumentali fra paesaggi aperti e stanze chiuse, manichini tramutanti in animate statue antiche, gladiatori ambiguamente avvinghiati. Cambia anche la pittura, filamentosa, bioccosa, tendente alla monocromìa. Seguirà l’intrigante serie dei Bagni misteriosi del 1934-35, nata da una cartella di dieci litografie a commento di poesie di Jean Cocteau e poi tradotta in quadri. Appaiono labirinti di stabilimenti balneari con palafitte immerse in vasche e canali di acqua trattata come un parqueta spighe, in cui sono infissi bagnanti e mostri, al cospetto di spettatori magrittiani, vestiti di tutto punto.

De Chirico guarda solo alla sua pittura enigmatica, portatrice di un senso di abbandono, di un velo di mistero che permea ogni opera e sono proprio questi gli elementi che mantengono tuttora una carica innovativa ed emozionante: guardare queste opere è una lenta osservazione, uno scandaglio che esplora le profondità, una paziente ricerca del dettaglio, una continua riscoperta di riferimenti e di apparenze, di quel senso di mistero che de Chirico riassumeva in una sola parola: enigma. È decisamente una pittura difficile e raffinata che farà osservare come "le architetture e gli oggetti collocati nello spazio secondo prospettive multiple perdono il loro significato comune e diventano simboli o metafore di concetti nascosti dietro l'apparenza del mondo visibile. La metafisica diventa la scoperta del mistero che si cela negli aspetti più comuni del vivere, davanti ai nostri occhi". Una novità densa di fascino che manterrà tutta la sua portata inquietante tale da produrre innumerevoli interpretazioni critiche e numerose spiegazioni della pittura metafisica.

Nel 1918 De Chirico spiegherà: "C'è molto più mistero in una piazza fossilizzata nel chiarore di un meriggio che non nelle scienze occulte. La figura umana (e tutto ciò che è vitale), è un paravento che ci nasconde molte cose". La rivelazione nasce appunto dalla pietrificazione e cioè dalla sostituzione del paesaggio con le architetture, e dell'uomo con la statua che poi sarà manichino. Questo processo di pietrificazione, di stupore nell'immobilità, di fossilizzazione dello spazio e del tempo è la vera essenza della metafisica di De Chirico: "L'arte... ci consiglia oggi più che mai l'inquadramento e la diasprificazione totale dell'universo. Il cielo deve essere serrato tra i rettangoli delle finestre e le arcate dei portici cittadini perchè lo si possa mungere sapientemente alle vaste mammelle della sua cupola traditrice. La stessa terra... è vinta oggi dalla metafisicità delle umane costruzioni... Tu vedi una stazione ferroviaria, una piazza circondata da cubi di pietra colorata ed adorna di squares e di statue in paletot, far zampillare getti altissimi, veri geyser di lirismo metafisico...".



Alla fine del 1909 si entra nel vivo della metafisica con le prime rivelazioni di un mondo inquietante e denso di enigmi di fronte al quale l’artista si pone con il “sentimento della preistoria” e il “senso del presagio”, vale a dire disponendo il suo animo e la sua sensibilità con quello stesso affinamento dell’intuizione che guidava gli uomini primitivi aiutandoli a percepire i presagi e ad avvertire la voce degli oracoli in una natura ostile e misteriosa. In questa atmosfera magica, dominata dal silenzio e dall’immobilità, sono immersi dipinti come L’enigma dell’oracolo (1909) e L’enigma dell’arrivo e del pomeriggio (1911-12). Statue di divinità o di filosofi tra architetture misteriose sulla riva del mare, muri oltre i quali si levano le vele dei naviganti, metafore dell’idea del viaggio e delle avventure della mente. Alle piazze dove giacciono le Arianne addormentate, prigioniere in marmorei monumenti e circondate da portici, si contrappongono quelle in cui monumenti maschili di eroi borghesi o militari si accompagnano a ciminiere e cannoni. E’ il dualismo femminile-maschile sintetizzato nelle figure simboliche di Arianna e Dioniso, con le quali de Chirico rappresenta i due poli della mente contrapposti ma complementari alla nascita dell’arte: profondità e intuizione dell’anima femminile, creatività e forza dell’elemento maschile. Dipinti famosi come Melanconia (1912) o La mattinata angosciosa (1912) che hanno profondamente influenzato l’estetica degli anni tra le due guerre, sono anche legati alla rielaborazione di ricordi e vicende personali, come il primo passaggio da a Torino nel luglio 1911, la diserzione e la fuga dopo la seconda visita nel marzo 1912, la sindrome melanconica seguita alla morte del padre, la lettura di Nietzsche e l’identificazione con la sua vicenda intellettuale e psichica. La figura maschile, con la sua pluralità di valenze simboliche, sia di origine psicanalitica sia di ordine filosofico, passa dalle fattezze umane a quelle pietrificate della statua: come nell’ Enigma di una giornata (II), (1914) .

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