domenica 30 settembre 2007

Debito pubblico percentuale nel mondo


Stamani, su un'idea che mi è stata data da una persona ieri sera, con la quale mi sono intrattenuto a parlare della situazione italiana sotto molti punti di vista (il fenomeno Beppe Grillo, la casta parlamentare, i costi della politica, l'andamento dell'economia e del debito pubblico), sono voluto andare a sbirciare su Wikipedia la pagina che tratta del debito pubblico. In modo particolare, ci sono una mappa tematica (quella che vedete qui sopra), che tratta il debito pubblico percentuale di ciascuno dei paesi del mondo (e come si può evincere dalla cartina, l'Italia è messa male), ed una pagina web del Dipartimento del Tesoro italiano, che riporta, con dati il più aggiornati possibile, l'andamento del nostro debito pubblico nazionale. Da oggi, questa pagina è consultabile tramite questo blog dall'elenco dei link.
Buona domenica gente!

sabato 29 settembre 2007

Notizie in pillole


Il 9 ottobre prossimo si celebrerà il 40° anniversario della morte del "Che", ucciso nel 1967 dai soldati boliviani.



La Nigeria riuscirà a portare in tribunale la multinazionale farmaceutica Pfizer (quella della pillolina blu di Viagra, tanto per intenderci), colpevole di aver fatto morire 200 persone usate come cavie nella sperimentazione di un nuovo farmaco contro la meningite.


Fra 3 anni la Groenlandia otterrà l'indipendenza dalla Danimarca. Il progressivo scioglimento dei ghiacci sta rivelando inaspettati giacimenti di oro e di petrolio. Gli Stati Uniti si stanno già facendo avanti per installarvi l'ennesima base militare, per avere di conseguenza una testa di ponte dalla quale tentare di mettere le mani su quelle risorse.



L'11 ottobre prossimo uscirà in anteprima a Torino un film-documentario americano dedicato alla EV1, veicolo elettrico prodotto dalla General Motors in 800 esemplari nella seconda metà degli anni Novanta e destinato al mercato californiano. Il veicolo è stato ritirato dal mercato dopo poco tempo e si sospetta che ciò sia avvenuto a causa delle fortissime pressioni esercitate dalla lobby statunitense del petrolio.

venerdì 28 settembre 2007

Che schifo!




Che schifo 1: Nestlé Italia indagata per evasione fiscale. La procura di Milano indaga sui vertici della filiale italiana, rappresentati nelle persone di Vincenzo Miceli e Cesare Cavallin, che andranno a processo il 9 ottobre. Il reato contestato dal pubblico ministero Letizia Mannella, che coordina le indagini del nucleo regionale di polizia tributaria della Guardia di Finanza, è quello di "dichiarazione infedele" dei redditi. Ed è da una verifica ordinaria delle Fiamme gialle che è nata l'inchiesta: tra il 2004 e il 2005 i militari controllano la sede in via Giulio Richard a Milano e scoprono che dal 2000 al 2003 c'è un divario tra i costi documentati e quelli fittizi, dichiarati dalla società come "compensi riconosciuti ai clienti per prestazioni promozionali e pubblicitarie", ma le fatture delle attività promozionali non sono mai state presentate. Anche i ricavi sarebbero stati gonfiati e la società non è stata in grado di spiegare a quali clienti corrispondessero le note di credito non emesse. Tutto questo ha portato ad una evasione totale pari a 7,6 milioni di euro. Miceli, nel frattempo, non siede più al vertice del CDA ed ora è a Vervey, in Svizzera, dove ha assunto l'incarico di senior vice president Europe.
CHE SCHIFO!


Che schifo 2: l'8 per mille, gli insegnanti di religione, i contributi per scuole, ospedali, grandi eventi, vantaggi fiscali. Ogni anno 4 miliardi di euro passano dalle casse dello Stato italiano a quelle del Vaticano. Praticamente l'equivalente del costo della "casta" politica e di quasi una metà di una finanziaria. Questa ricchezza della Chiesa cattolica è frutto dell'operato di 20 anni dell'Eminenza Ruini.
DESTINAZIONI IN PERCENTUALE DELL'8 PER MILLE:
- 30,5% interventi nazionali
- 25,2% diocesi italiane
- 8,6% Terzo Mondo
- 35,7% sacerdoti
Su 5 euro incassati dal gettito stabilito dal meccanismo fiscale dell'Irpef (studiato a metà anni '80 da un fiscalista all'epoca "di sinistra" come Giulio Tremonti, all'epoca consulente del Governo Craxi), 1 va alla carità, il resto tra culto e immobili.
La Chiesa cattolica costa ogni anno ai contribuenti italiani quasi quanto il ceto politico: oltre 4 miliardi di euro tra finanziamenti diretti dello Stato e degli enti locali e mancato gettito fiscale. La prima voce riguarda il miliardo di euro dell'otto per mille, i 650 milioni di euro per gli stipendi dei 22.000 insegnanti dell'ora di religione (un vecchio relitto concordatario), altri 700 milioni versati tra Stato ed enti locali per le convenzioni su scuola e sanità. Poi c'è la voce variabile dei finanziamenti ai grandi eventi, per una media annua di 250 milioni. Poi va aggiunto il cumulo di vantaggi fiscali concessi al Vaticano, al centro di un'inchiesta dell'Unione Europea. Si può valutare con una forbice che varia dai 400 ai 700 milioni il mancato incasso per l'ICI, in 500 milioni le esenzioni da Irap, Ires e altre imposte, in altri 600 milioni l'elusione fiscale legalizzata del turismo cattolico, che gestisce ogni anno da e per l'Italia un flusso di 40 milioni di persone.
La Chiesa cattolica, non eletta dal popolo e non sottoposta a vincoli democratici, costa ogni anno agli italiani quanto la casta politica.
CHE SCHIFO!

Grande Fausto!


Il Sindaco e la Giunta comunale di Bologna hanno deciso di conferire il prestigioso premio-onorificenza comunale "Nettuno d`Oro" a Fausto Carpani per la sua attività nel campo della canzone dialettale, del teatro e dell`Associazione Ponte della Bionda.
In questo modo, Fausto è il secondo grande cantautore bolognese a ricevere il Nettuno d`Oro: il primo fu Quinto Ferrari a metà degli anni Novanta.
La cerimonia avrà luogo il 16 Ottobre alle 18 in Sala Rossa a Palazzo d'Accursio, in presenza del Sindaco Sergio Cofferati. Si tratterà di una cerimonia pubblica, per cui amici ed estimatori di Fausto Carpani potranno partecipare alla cerimonia di conferimento.

giovedì 27 settembre 2007


Piena solidarietà ai monaci buddhisti e ai civili della ex Birmania, ora Myanmar, che in questi giorni manifestano coraggiosamente contro il regime militare che da decenni piega ed affama la popolazione. Piena solidarietà anche agli inviati dei giornali di tutto il mondo che in questo momento stanno rischiando la loro incolumità per portare immagini ed informazioni da quel luogo nelle nostre case.

Come mai che dagli USA non sono giunte ancora voci dall'amministrazione neoconservatrice e neoliberista di "esportare la democrazia?". Forse perché in quel paese non vi sono interessi economici derivanti dal petrolio? O forse perché la Cina ha posto il veto presso le Nazioni Unite in quanto primo partner di quel paese che si rifornisce dai giacimenti di gas naturale?

Intanto il popolo oppresso continua a soffrire e a lottare. E' positivo che almeno per una volta il mondo politico italiano si sia trovato unito su un punto.

La più grande cosa dell'universo, dice un certo filosofo, è un brav'uomo che lotta contro l'avversità; e tuttavia ce n'è una ancora più grande, ed è il brav'uomo che viene in suo soccorso.
(Oliver Coldsmith)

mercoledì 26 settembre 2007

Solo se sappiamo da dove veniamo...

...sappiamo con maggior certezza dove stiamo andando.

Qualcosa di simile pronunciò il musicista afroamericano Corey Harris in qualità di protagonista del film-documentario di Martin Scorsese "Dal Mali al Mississippi", splendida pellicola che indaga, facendo un viaggio a ritroso, sulle origini e le radici musicali del blues.


Questa frase che ho appena citato mi serve per introdurre l'argomento che andrò a trattare poche righe più sotto.



Non so come, non so perché, ma oggi, appena rincasato dal lavoro, mi è venuto da pensare a Genova (ogni volta che la nomino la mia mente inevitabilmente rievoca ancora i tragici fatti del G8 e le scandalose conversazioni intercettate degli agenti di polizia del "mattatoio" Caserma Diaz) e alla Liguria, cosa assai strana in quanto non conosco quei posti perché non mi ci sono mai recato in visita per il momento.



Forse inconsciamente l'ho fatto perché sabato scorso, ad una festa di compleanno, ho ascoltato la conversazione di due dei convitati in cui lei, dolce e gentile fanciulla dai capelli rossi, rispondendo alle domande di un ragazzo curioso, stava raccontando delle sue vacanze estive al mare trascorse tra Diano Marina e Marina di Ravenna.



Fatto sta che per coincidenza apro un giornale che parla di cibo e cultura gastronomica (tra l'altro vi è anche un interessante articolo sul formaggio firmato da un delegato Slow Food) e becco un articolo in cui è protagonista Imperia. Nello specifico si parla di un gruppo intergenerazionale di persone riunitesi per parlare di cultura alimentare, tradizioni gastronomiche locali e per difendere un centro sociale dallo sgombero.



Per la precisione il fatto si svolge in un paesino della provincia dal nome San Bartolomeo al Mare. Giovani e meno giovani si riuniscono attorno ai fornelli da campo dai quali sale l'aroma delle verdure del Ponente Ligure. E' in corso una iniziativa che prevede due giorni di impegno e di festa per l'associazionismo, per il Ponente Ligure della sinistra sociale e del precariato, di gente decisa a contrastare, qui in questa zona di frontiera baluardo della destra, la lunga mano dei poteri forti, nonché a difendere un centro sociale minacciato di sgombero, uno dei pochi spazi pubblici e gratuiti a disposizione dei cittadini.



Così, tra i profumi di piatti tipici locali, la gente (tra cui anche gente venuta da fuori e soggetti politici locali), bevendo vino, incrocia le storie di varie generazioni, puntellate, accompagnate dalla preparazione di alcuni piatti tipici: rostelle, condiglione, musciamme, buridda...piatti poveri che oggi ricordano che 60 anni fa la gente faceva la fame.



C'è un piccolo libro intitolato A' me manea (a modo mio), sottotitolo "Le donne, la cucina, la quotidianità, le feste", con racconti e ricette di un gruppo di anziani che hanno costituito un gruppo di scrittura creativa tramite l'Università popolare dell'età Libera, tenuto da Franca Natta, nipote dello scomparso Alessandro Natta.



Si parla di pranzi e cene dei giorni di festa realizzati con poco, ma creativi e appetitosi, a base di bietole, carciofi, pesce povero come acciughe e sardine. Nei ricordi degli anziani scrittori il profumo di quei cibi riporta alla mente mestieri scomparsi. Questo percorso di cibo e memoria ricorda anche una particolare pietanziera di metallo a più strati che chiamavano bulacchino ed era l'oggetto che contraddistingueva il pranzo degli operai dei cantieri.



Sull'immagine del bulacchino la tavolata dei convenuti si anima e si finisce per parlare di una città che non è più reattiva, fatta di giovani che partono per andare a studiare nella vicina Genova o a Torino, e che non sono più combattivi. Si inizia a parlare della questione spinosa della legge Biagi, per via della quale la precarietà del lavoro è ormai diventata regola, e alimenta un sommerso di migranti e di giovani senza un progetto. Allo sgretolamento concreto dei diritti si affianca quello legislativo e l'autonomia del diritto del lavoro tende a scomparire: e al salariato classico sappiamo bene tutti che si affiancano molteplici figure atipiche.


Concludo, per restare in tema geografico, riportando i versi di una delle mie canzoni preferite, "Genova Per Noi", di Paolo Conte (1975).


I. Con quella faccia un po’così
quell’espressione un po’così
che abbiamo noi prima andare a Genova
che ben sicuri mai non siamo
che quel posto dove andiamo
che ben sicuri mai non siamo
non c’inghiotte e non torniamo più.

II. Eppur parenti siamo in po’
di quella gente che c’è lì
che in fondo in fondo è come noi selvatica
ma che paura che ci fa quel mare scuro
e non sta fermo mai.

Genova per noi
che stiamo in fondo alla campagna
e abbiamo il sole in piazza rare volte
e il resto è pioggia che ci bagna.
Genova, dicevo, è un’idea come un’altra
Ah… la la la la

III. Ma quella faccia un po’così
quell’espressione un po’così
che abbiamo noi mentre guardiamo Genova
ed ogni volta l’annusiamo
e circospetti ci muoviamo
un po’randagi ci sentiamo noi.

Macaia[1], scimmia di luce e di follia,
foschia, pesci, Africa, sonno, nausea, fantasia.
E intanto nell’ombra dei loro armadi
tengono lini e vecchie lavande
lasciaci tornare ai nostri temporali
Genova ha i giorni tutti uguali.
In un’immobile campagna
con la pioggia che ci bagna
e i gamberoni rossi sono un sogno
e il sole è un lampo giallo al parabrise.

Con quella faccia un po’così
quell’espressione un po’così
che abbiamo noi che abbiamo visto Genova

… … … … … … … … … … … … …

[1] Bonaccia di scirocco (dialetto genovese).




La Lanterna

domenica 23 settembre 2007

Un piatto della pace


Anche quest'anno avrà luogo l'usuale Cous-Cous Fest a San Vito Lo Capo, in Sicilia.
Parteciperanno cuochi provenienti dai vari territori dell'Africa e del bacino del Mediterraneo (Sicilia compresa) dove la preparazione del cous cous si è diffusa, a testimonianza del fatto che c'è qualcosa che unisce le varie tradizioni culinarie di questa vasta area geografica, quindi si potrebbe proclamare il cous-cous un piatto della pace e per la pace.
UN PO' DI STORIA
La storia del cous cous comincia tra gli imazighen, i "berberi", il popolo autoctono delle montagne e delle valli del Nordafrica, le cui origini si perdono nella notte del tempo. Con i cereali che coltivavano, il frumento, ma soprattutto l'orzo, il miglio e il sorgo, preparavano "pappe" con acqua o latte e il cous cous (sekso, kskso, kuskus, kuski nelle lingue berbere) con la sua sofisticata cottura a vapore ne è un ulteriore sviluppo, talmente caratteristico da comparire di frequente nei resoconti dei viaggiatori europei nel Maghreb.
Tradizionalmente il cous cous veniva preparato con semola di grano duro, Triticum durum, quella farina granulosa che si può produrre con una macinatura fatta con macine primitive, ma oggi con questo nome si allude anche ad alimenti preparati con cereali diversi, come orzo, miglio, sorgo, riso, o mais. Solitamente esso accompagna carni in umido e/o verdure bollite (sulla costa del mar Mediterraneo anche pesce in umido).
Oltre che nel Maghreb, il cous cous è molto diffuso anche nell' Africa Occidentale, in Francia, in certe zone della Sicilia (provincia di Trapani), e anche nel Vicino Oriente (in particolare, in Israele presso gli Ebrei di origine maghrebina). In Giordania, Libano e Palestina viene chiamato maftūl (ritorto).

Uno dei primi riferimenti scritti al cous cous viene dall'anonimo autore di un libro di cucina dell'Andalusia musulmana del XIII secolo, il Kitāb al-tabīkh fī al-Maghrib wa l-Andalus, che dà una ricetta per il cous cous che era "ben noto in tutto il mondo". Il modo in cui in quest'opera compare il nome dell'alimento (preceduto dall'articolo al- ma senza valore determinativo) dimostra che era una parola berbera e non araba. Il cous cous era noto anche nel regno nasride di Granada. Sempre nel XIII secolo uno storico siriano di Aleppo cita il cous cous in quattro occasioni. Queste citazioni così antiche mostrano che il cous cous si diffuse rapidamente, ma che in generale esso era comune soprattutto nell'occidente islamico fino alla Tripolitania, mentre più ad est, a partire dalla Cirenaica, la cucina era soprattutto di tipo egiziano, in cui il cous cous costituiva solo un piatto occasionale.
Uno dei primi riferimenti al cous cous in Europa settentrionale è in Bretagna, in una lettera datata 12 gennaio 1699. Ma già molto tempo prima esso aveva fatto la sua comparsa in Provenza, dove il viaggiatore Jean Jacques Bouchard scrive di averlo mangiato a Tolone nel 1630.
Vi sono crescenti indizi del fatto che il processo di cottura tipico del cous cous, in particolare la cottura a vapore dei grani sul brodo in una pentola speciale, potrebbe avere avuto origine prima del decimo secolo in un'area dell'Africa Occidentale che abbraccia gli attuali Niger, Mali, Mauritania, Ghana, e Burkina Faso. Ibn Battuta viaggiò in Mali nel 1352, e in quella che è l'odierna Mauritania ebbe un cous cous di miglio. Egli osservò anche un cous cous di riso nella zona del Mali nel 1350. Va anche ricordato che per secoli i Berberi nomadi ricorrevano a donne dell'area subsahariana per cuocere il cous cous, il che potrebbe essere un'ulteriore indicazione dell'origine dell'alimento.

sabato 22 settembre 2007

Il mondo è nelle nostre mani


Earth, earth, riding your merry-go-round toward extinction
(Anne Sexton)
In questi ultimi tempi in cui i media non hanno fatto che parlare di solenni cerimonie, governi, guerre e un'economia che ha rischiato il collasso, è stato più difficile udire le sirene che suonavano dalla distanza, sentire i suoni dello scioglimento dei ghiacci, di specie che si stanno estinguendo, di città che stanno soffocando le persone che le abitano.
Un gruppo di scienziati statunitensi ha annunciato questa settimana che la calotta polare artica si va sciogliendo sempre più rapidamente di quanto temessero: per il 2050 se ne sarà perso più del 40%. E poiché i gas serra permangono per decenni, persino una riduzione drastica delle emissioni non sarebbe più sufficiente per prevenire un ulteriore declino.
Si prevede che il 2008 sarà l'anno più caldo del secolo, accompagnato da uragani, inondazioni e siccità.
Delle 40.000 specie animali (sul totale dei 15 milioni presenti sul pianeta) tracciate dalla World Conservation Union, più di 16.000 sono a rischio di estinzione.
Per il 2085 un miliardo di persone sarà a rischio di contrarre la febbre dengue a causa dei mutamenti di temperature.
E per finire, il Blacksmith Institute (http://www.blacksmithinstitute.org/ten.php) ha pubblicato una lista dei luoghi più inquinati del pianeta: non sorprende che le persone muoiano più in fretta in quei posti.
Buoni sogni gente!

domenica 16 settembre 2007

Status quo parte seconda

Ovvero breve analisi dei monopoli capitalistici




L'imperialismo che stiamo vivendo oggi è lo stadio supremo ed ultimo di sviluppo del capitalismo.


Il rafforzamento delle posizioni della borghesia, la crescita impetuosa dei monopoli, la folle espansione coloniale sono i fenomeni che alla fine del XIX secolo determinavano la situazione economica e politica dell'Europa. Essi stavano ad indicare che era iniziato il passaggio del capitalismo ad un nuovo stadio, quello imperialista.


Se si volesse dare la definizione più concisa possibile dell'imperialismo, si dovrebbe dire che esso è lo stadio monopolistico del capitalismo; la sostanza economica dell'imperialismo sta nella sostituzione della libera concorrenza da parte dei monopoli.


Agendo secondo le leggi di selezione "naturale", la libera concorrenza non poteva non produrre il proprio opposto: il monopolio. Il consolidamento di un pugno di giganti industriali procedeva di pari passo con la fine e la rovina dei concorrenti deboli: delle piccole e medie aziende. I processi della concentrazione della produzione e della centralizzazione del capitale portano a far sì che nei settori più importanti dell'industria la parte fondamentale della produzione comincia ad essere realizzata da una cerchia sempre più ristretta di imprese. Si creano in tal modo le premesse perché esse concordino di porre fine alla concorrenza e di stabilire dei prezzi di monopolio. Tale possibilità si consolida via via che si rafforza la posizione di monopolio sul mercato mediante la conquista delle fonti di materie prime, della rete commerciale, dei trasporti e degli altri fattori materiali che consentono la riproduzione allargata del capitale. I profitti di monopolio accrescono le possibilità di nuovi investimenti in impianti moderni, il che aumenta il grado d'efficenza e il rendimento della produzione. La forma azionaria permette alle grandi ditte, che stabiliscono stretti contatti con le banche, di mobilitare una parte considerevole delle risorse monetarie delle imprese e di utilizzarle per l'ulteriore incremento della loro potenza produttiva e per il consolidamento delle posizioni di mercato.


Il monopolio esercita una duplice influenza sulle forze produttive. Accentuando il carattere sociale della produzione, esso ne stimola obiettivamente lo sviluppo. Però il monopolio genera al tempo stesso tendenze che portano all'imputridimento e al rallentamento del progresso tecnico. Con il monopolio il profitto può aumentare non solo mediante l'incremento della produzione e la riduzione dei costi di produzione, ma anche con un contenimento dello sviluppo e perfino con una riduzione diretta della produzione e l'aumento artificioso dei prezzi. I monopoli più grandi sono in grado di acquistare i brevetti di maggior prospettiva per impedire che vengano introdotti nel processo produttivo e che i concorrenti si rafforzino. Tuttavia, a tale comportamento dei monopoli, derivante dalla loro natura economica, si contrappone la concorrenza degli altri monopoli sia all'interno del paese sia nel mercato mondiale. Dunque la tendenza all'imputridimento propria al monopolio e le possibilità di una rapida crescita pure insite in esso coesistono l'una accanto alle altre.


Partendo dall'analisi dei processi di concentrazione e monopolizzazione della produzione, si formulano i cinque contrassegni economici dell'imperialismo che contraddistinguono il nuovo stadio di sviluppo della società dal capitalismo della libera concorrenza:


1) la concentrazione della produzione e del capitale, che ha raggiunto un grado talmente alto di sviluppo da creare i monopoli con funzione decisiva nella vita economica;


2) la fusione del capitale bancario col capitale industriale e il formarsi, sulla base di questo "capitale finanziario", di un'oligarchia finanziaria;


3) la grande importanza acquisita dall'esportazione di capitale in confronto con l'esportazione di merci;


4) il sorgere di associazioni monopolistiche internazionali di capitalisti che si ripartiscono il mondo;


5) la compiuta ripartizione della terra tra le più grandi potenze capitalistiche.


All'inizio del XX secolo, il dominio dei monopoli era tipico soprattutto per i settori dell'industria pesante. Oggi la struttura monopolistica si è estesa a quasi tutte le sfere dell'economia e i monopoli, peraltro, attraggono nella loro orbita anche la sfera non produttiva. Un fatto tipico degli ultimi 40 anni è la penetrazione dei grandi monopoli in settori "estranei": ha luogo l'accaparramento di ditte ed aziende che servono ad integrare il complesso produttivo del monopolio o anche non aventi nessun legame tecnologico con esso. Crescono rapidamente gigantesche società, che sono dei conglomerati nei quali, sotto l'insegna di un solo monopolio, sono raggruppate aziende dei settori più diversi.


L'economia del capitalismo contemporaneo dimostra il legame diretto esistente tra il primo e il secondo contrassegno dell'imperialismo: tra la crescente concentrazione della produzione e del capitale e l'aumento di potere dell'oligarchia finanziaria. Il capitale finanziario, che sorge e si sviluppa sulla base degli stretti legami che si stabiliscono tra il capitale dei monopoli industriali e quello dei monopoli bancari, porta all'aggravamento di tutto l'insieme delle contraddizioni sociali. Si assiste non solo all'intensificarsi dello sfruttamento dei lavoratori, ma anche all'aggravarsi delle contraddizioni all'interno della stessa classe dominante: un piccolo gruppo costituito dall'oligarchia finanziaria si appropria dei superprofitti di monopolio e si contrappone in tal modo non solo ai lavoratori, ma anche ad un vasto strato di piccola e media borghesia, allontanato dalle più vantaggiose fonti di guadagno.


Dopo la seconda guerra mondiale l'oligarchia finanziaria ha riorganizzato a fondo tutto il sistema degli enti bancari, ottenendo praticamente il controllo di tutte le risorse monetarie temporaneamente libere della società, inclusi i risparmi dei lavoratori depositati nei loro vari istituti assicurativi. La fusione delle maggiori banche con i monopoli industriali ha fatto sorgere delle potenti concentrazioni di capitale - i gruppi finanziari - i cui partecipanti sono strettamente legati tra di loro dal reciproco possesso di azioni, da alleanze personali, dalla comunità di interessi nella lotta concorrenziale. I gruppi finanziari si servono di vari sotterfugi per sottoporre al loro controllo una vasta sfera dell'economia.


L'accumulazione di un'enorme massa di capitali nelle mani dell'oligarchia finanziaria continua ad essere la fonte più importante per la loro esportazione all'estero. L'importanza dell'esportazione del capitale come strumento dei monopoli nella lotta per i mercati e le sfere di influenza è oggi ancor più grande di quanto non lo fosse nell'era degli imperi coloniali. Proprio l'esportazione del capitale è lo strumento principale di cui il capitale finanziario si serve per lanciare le sue reti in tutti i paesi del mondo. L'esportazione di capitale all'estero diventa un mezzo per favorire anche l'esportazione delle merci. E oggi, partendo dall'aumentata esportazione di capitale, ha luogo l'ulteriore sviluppo del processo di internazionalizzazione dell'economia mondiale e si accentua la penetrazione dei monopoli nell'economia degli altri paesi.


Non potendo negare la crescita colossale delle esportazioni di capitale, i grossi investitori si basano sulla circostanza del sostanziale aumento delle esportazioni di capitali statali sotto forma di prestiti e crediti a lungo termine, nonché di sussidi e stanziamenti a fondo perduto per i programmi di "aiuto" ai paesi in via di sviluppo. L' "aiuto", i sussidi e i prestiti statali sono nei paesi in via di sviluppo uno strumento di politica economica che ha lo scopo di assicurare alti profitti ai monopoli privati. I crediti e i "doni" concessi comportano molto spesso per i paesi che li ricevono l'obbligo di spendere il denaro nell'acquisto di merci del paese erogatore. L' "aiuto" ha lo scopo di creare nei paesi in via di sviluppo un "clima politico" favorevole ai monopoli privati esportatori di capitali, di liberarli dalla minaccia di nazionalizzazione delle aziende straniere.


Un logico risultato dei processi di concentrazione del capitale su scala mondiale e dei suoi intrecci internazionali è stata la formazione di monopoli internazionali. Quello che caratterizza l'imperialismo è una cosa che prima d'ora non esisteva, cioè la spartizione economica del mondo tra i trust internazionali, la spartizione dei paesi tra questi trust in base ad un accordo tra loro, come zone di sbocco. Il processo di sviluppo dei supermonopoli internazionali ha avuto come risultato che un pugno di monopoli è quasi padrone assoluto del mercato capitalistico mondiale.


Per un fenomeno di evoluzione e traslazione, le potenze imperialistiche cercano di recuperare e anche di estendere le posizioni economiche perse in seguito al crollo del sistema coloniale. Oggi la competizione imperialista porta inevitabilmente alle guerre per la ripartizione del mondo, per i mercati di sbocco e le fonti di materie prime.


Diventa sempre più profondo il baratro tra il livello di sviluppo dei principali paesi del nord ricco e i restanti paesi del sud del mondo. L'epoca contemporanea si è contraddistinta per l'enorme aumento del carattere contradditorio, conflittuale dello sviluppo di tutti gli aspetti della vita economica e politica della società.


Il meccanismo produttivo imperialista genera i fenomeni della crescita continua dell'intensità del lavoro, di una notevole inutilizzazione degli impianti, di una disoccupazione permanente che in alcuni paesi va assumendo vaste proporzioni, dell'aggravarsi quasi ovunque dei problemi dell'occupazione, dei processi inflazionistici che colpiscono il tenore di vita della popolazione. Non viene assicurata la completa utilizzazione nell'interesse della società delle gigantesche possibilità aperte dalla rivoluzione tecnico-scientifica, i cui frutti diventano patrimonio del capitale monopolistico e contribuiscono soltanto ad accrescere i superprofitti.

sabato 15 settembre 2007

Letture del weekend


Inizio consigliando la lettura, accompagnata da una piccola riflessione, del trafiletto editoriale intitolato "Contromano" sul Venerdì di Repubblica della settimana corrente. L'autore è Curzio Maltese e il titolo dell'articolo è "Ma ad Oslo non ci sono lavavetri".

Proseguo consigliando la lettura (piacevole e niente affatto pesante) di una novità editoriale Einaudi: "L'italiano" di Sebastiano Vassalli ci presenta il carattere nazionale italiano attraverso dodici storie che danno forma ad un'unica storia, la nostra.
Mi permetto di riportare qui di seguito alcuni brevi estratti del libro, che possono fungere da spunto.

Il giorno del Giudizio Universale, Dio chiamò a sé tutti gli uomini del mondo con le rispettive consorti. Chiamò l'Inglese e l'Inglese rispose: "Eccomi!".
Chiamò il Cinese e il Cinese rispose: "Sono qui!".
Uno dopo l'altro, Dio chiamò il Russo, il Francese, il Greco, l'Americano, il Giapponese, il Polacco, il Finlandese, l'Arabo, l'Australiano, il Turco, l'Indiano, il Nigeriano, il Marocchino, il Sudafricano nero e il Sudafricano bianco, il Portoghese, l'Israeliano e tutti, nella loro lingua, risposero: "Presente!".
Di ognuno, Dio esaminò le virtù e i vizi e mandò tutti in Purgatorio: perché nessuno meritava il Paradiso, e nessuno era abbastanza malvagio per trascorrere l'eternità in un posto sgradevole come l'Inferno.
Poi Dio chiamò l'Italiano, ma non ebbe risposta. "Cosa può essergli successo, - si chiese, - perché l'Italiano sia assente?". Tornò a chiamarlo. Allora l'Italiano, vedendo che tutti si erano voltati verso di lui e lo stavano guardando, spalancò gli occhi e si mise una mano sul petto. Domandò: "Chi, io?".
"Si, tu, - disse Dio. - Ci sono degli altri Italiani qui attorno?" "Non lo so, - rispose l'Italiano, - e non so se sono io l'Italiano. Da qui a qui sono fatto in un modo, e da qui in giù mi sento diverso. E poi, non mi piace chiamarmi con quel nome".
Per la prima volta nella sua esistenza infinita, Dio sorrise. "Se vuoi posso chiamarti Lunatico, o Marziano. Ma anche con il nuovo nome, dovrai rassegnarti all'idea che tu sei tu".
Poi Dio disse: "Vediamo". Si mise gli occhiali e guardò dentro uno schermo, dove vedeva tutte le cose del mondo. Osservò: "Sei stato tenuto a balia per mille e cinquecento anni da una religione, e questo ha influito sul tuo carattere rendendolo infantile". Fece scorrere delle altre immagini. "Hai inventato la pizza, il fascismo e la mafia. La pizza è una cosa buona, ma il fascismo e la mafia sono due cose pessime".
"Il fascismo era una dittatura, - disse l'Italiano con voce piagnucolosa, - e io ho dovuto subirla. Non so chi l'abbia inventata, ma certamente non sono stato io. Soltanto a pensarci, mi sento un'oppressione qui...".
Dio tornò a sorridere e scosse la testa. Domandò: "E la mafia?" "La mafia è una cosa schifosa", disse l'Italiano. Poi ci ripensò e si corresse: "Cioè, intendiamoci... Io non so nemmeno cosa sia, ma ne ho sempre sentito parlare male da tutti".
"Ti manderò in un posto speciale, dove tenevo i bambini, - disse Dio, dopo aver riflettuto un istante. - Quel posto si chiama limbo e i teologi vorrebbero che io lo chiudessi, perché nell'eternità non ci sono bambini. Si sbagliano. Ci sei tu.". L'Italiano non disse nulla e Dio continuò, accarezzandosi la barba: "Potrai aprirci un ristorante e fare la pizza..." "So anche cantare", disse l'Italiano. "Sì, bravo. Canterai mentre fai la pizza. Ma adesso devo occuparmi di un altro abitante del vostro pianeta". Dio si rimise gli occhiali. Chiamò: "Il Tedesco!"

[...] Bisogna dire a chi ancora non se ne fosse accorto che l'Italia è un paese vecchio, anzi vecchissimo, dove tutto è già accaduto in passato e dove non accade più niente di veramente nuovo e di veramente importante da circa cinquecento anni. E' un paese vecchio e tendenzialmente immobile. Qui non ci sono la Nuova Frontiera, l'Eldorado e nemmeno il Sogno Americano o l'Oriente Radioso della nuova Cina. Qui il Sole dell'Avvenire è sempre al tramonto. L'unico sogno ricorrente, da più di due secoli, è quello di una rivoluzione che mandi tutto all'aria: ma non ha mai portato niente di buono. Per fare qualcosa in Italia: ad esempio per diventare davvero ricchi, o per arrivare al culmine di una carriera, una vita sola non basta. Ce ne vogliono almeno tre. Deve incominciare il nonno, poi deve proseguire il padre e poi, se tutti si sono dati da fare e hanno avuto fortuna, il figlio del figlio comincia a raccogliere i frutti delle sue fatiche e anche di quelle dei suoi antenati... [...] L'Italia non è soltanto quel paese vecchio e sostanzialmente immobile di cui ti ho parlato: è anche due paesi in uno. C'è il Paese Legale, che è sotto gli occhi di tutti, e c'è il Paese Sommerso: il paese illegale, che tutti più o meno fanno finta di non vedere e che è più forte in alcune regioni e in alcune grandi città, e meno forte in altre regioni. Il Paese Sommerso ha le sue leggi, diverse da quelle del Paese Legale. Ha la sua politica (o le sue politiche) e ha la sua economia: un fiume di soldi che deve sfuggire alla contabilità dell'altro paese, quello alla luce del sole, e deve essere "riciclato".

giovedì 13 settembre 2007


Gli ultimi anni di storia italiana e mondiale hanno messo a serio rischio l'incolumità del tuo stomaco che ormai è afflitto da ulcere grosse come palle da tennis? Hai un mutuo trentennale sul groppone per pagarti la casa e sentir dire Bellachioma che tu sei ricco perchè possiedi l'abitazione ti fa incazzare come un DRAGO? LA TUA CASA E' IPOTECATA E LA POSSIEDE LA BANCA DI CUI SEI SCHIAVO? Il contratto della tua categoria è in attesa di rinnovo? Hai dovuto scioperare anni per ottenerlo? TRANQUILLO! E' NORMALE AMMINISTRAZIONE. Tuo figlio finita la scuola diverrà un precario...grazie alla legge 30 sul lavoro? L'avvento dell'euro ha raddoppiato i prezzi e ti ha dimezzato la busta paga? Bellachioma dice che la colpa è di tua moglie che non sa fare la spesa? COME SI FA A NON SOFFRIRE DI ULCERA PERFORANTE??? Tranquillo siamo in tanti ad avere i tuoi stessi problemi...BASTEREBBE UNIRSI TUTTI E INIZIARE A BOICOTTARLI!! Come? SEMPLICISSIMO! Immagina cosa accadrebbe se i 3 milioni di metalmeccanici senza contratto, prendessero i cellulari di casa e li chiudessero in un cassetto! Immagina se si mettessero d'accordo e TUTTI SMETTESSERO di guardare la televisione! Immagina se ci si mettesse TUTTI d'accordo nel fare benzina da un SOLO gestore di carburante...quello che lo fa pagare di meno! Hanno fatto i tramini per comprarsi le banche?
Immagina se TUTTI i risparmiatori di quelle banche andassero a chiudere il loro conto!!
NOI SIAMO PIU' DI LORO!!!!
NOI ABBIAMO LA FORZA DEL NUMERO.
LORO ESISTONO PERCHE' CI SIAMO NOI.
SENZA DI NOI LORO ZAPPEREBBERO LA TERRA.
NON SERVE SCENDERE IN PIAZZA A BRUCIARE I CASSONETTI E BRUCIARE LE MACCHINE DI POVERACCI COME NOI!!!!!!
PACIFICAMENTE POSSIAMO OBBLIGARLI A CURARE ANCHE I NOSTRI INTERESSI.
Questo si chiama BOICOTTAGGIO PACIFICO ed è più POTENTE E FORTE DI MILLE MANIFESTAZIONI DI PIAZZA.
Possono impedirti di scendere in piazza. Possono manganellarti se lo fai. Possono importi i loro CONTRATTI da fame.
MA NON POSSONO OBBLIGARTI A PRENDERE UN TRENO...A FARE L'ASSICURAZIONE PRESSO I LORO SPORTELLI...A GUARDARE LE LORO TV DI REGIME...A FARE LA SPESA IN QUEL DETERMINATO SUPERMERCATO ECC. BASTEREBBE UNIRCI...FARE NUMERO, COORDINARCI E ATTUARE I NOSTRI BOICOTTAGGI...
BASTEREBBE CREDERE NELLA NOSTRA FORZA E SMETTERE DI FARE I PECORONI....!!!!!!
Loro...i potenti...contano sul nostro atteggiamento remissivo.
SE VUOI PARTECIPARE A QUESTA BATTAGLIA...ALMENO PROVANDOCI SENZA PIEGARE LA TESTA...BASTEREBBE CREDERCI E INIZIARE.


(Fonte: Controcorrente Satirica, http://www.controcorrentesatirica.com/)

lunedì 10 settembre 2007

sabato 8 settembre 2007

Spie ad oriente


L'oriente, l'oriente misterioso che da secoli alimenta la fantasia di narratori e registi. Nell'antichità la parola "Oriente" indicava un territorio che si apriva sulle coste orientali del Mediterraneo: Grecia, Turchia, Siria, Palestina, Egitto; la capitale simbolica di questa parte di mondo era rappresentata da Costantinopoli. Una terra eterogenea, islamo-cristiana satura di elementi contraddittori che ispirava un fascino irresistibile. Il viaggio in Oriente rappresentava un rituale con il quale introdursi attraverso una doppia iniziazione: quella della conoscenza e del desiderio. Tanta letteratura dona al lettore l'essenza dell'immaginario collettivo. Leggendo gli autori del passato vediamo come loro si soffermano sull'interpretazione del concetto "Oriente", sui primi approcci nei luoghi, sui metodi e mezzi di viaggio, sulle traversate per mare, sino ad arrivare all'Orient-Express.
Nel XIX secolo, con la continuazione delle esplorazioni e il colonialismo imperialista, il concetto di terre d'oriente si sposta definitivamente su quell'area geografica che oggi conosciamo. L'oriente continua ad esercitare il suo fascino.


Non solo l'oriente affascina, incuriosisce ed intriga molti, ma anche le storie di spie ed agenti segreti, protagonisti di tanti racconti e di tanti film. Ma io oggi vorrei parlare di una spia realmente esistita, che ha svolto il suo ruolo per tanto tempo proprio in oriente.


Richard Sorge (1895 - 1944) era una spia sovietica di origine tedesca. Sorge era un comunista che per lavoro che si faceva passare per nazista. Mise in guardia Stalin contro l'imminente invasione tedesca, ma fu ignorato. Durante la Prima Guerra Mondiale si conquistò la croce di ferro. Fu la dura esperienza della trincea a convertirlo al comunismo. Nel 1924 venne reclutato dai servizi segreti sovietici e partì per Mosca. Da quel momento iniziò a servire ininterrottamente il Cremlino. Di stanza in Cina, lavorava per giornali europei. In questo modo riuscì a stabilire una rete di contatti che gli tornarono utili quando stabilì una cellula di spie in Giappone. Iniziò la sua missione a Tokyo nel 1933, aderendo al partito nazista, scrivendo articoli di propaganda politica e diventando un personaggio rispettato dell'ambasciata tedesca nella società giapponese. Intanto inviava una gran quantità di informazioni a Mosca. Il suo colpo migliore fu quando rassicurò Stalin che il Giappone non avrebbe attaccato la Russia dalle spalle, ma avrebbe colpito nel Sud-est asiatico, cosa che consentì ai russi di spostare le loro divisioni dalla Siberia in modo da fronteggiare l'attacco tedesco.

Ma Sorge iniziò a bere smodatamente. Nella sua catena spionistica venne a crearsi un anello debole, che alla fine si ruppe. Arrestato dai giapponesi nell'ottobre del 1941, fu impiccato nel 1944. Passarono vent'anni prima che l'Unione Sovietica lo celebrasse come eroe nazionale, stampando la sua effigie su un francobollo.


martedì 4 settembre 2007

Cavedagne


Sul tardo pomeriggio di oggi, mentre attraversavo in auto la Bassa guidando lungo la Trasversale di Pianura per rincasare dopo il lavoro, mentre osservavo a destra e a sinistra i colori della campagna che risultavano quasi più carichi ed accentuati dopo la tempesta odierna che con il calo repentino della temperatura ha annunciato che l'estate ormai è quasi finita, ho iniziato a pensare ad un particolare, un elemento di queste terre agresti: le cavedagne.
Dicesi "cavedagna" una striscia di terreno incolto che limita le testate di un campo coltivato ed è perpendicolare alla direzione dell’aratura.
Facendo delle ricerche ho scoperto che le nostre cavedagne hanno ispirato poeti e registi. Il poeta contemporaneo Franco Buzzoni ha pubblicato una poesia dal titolo "La Via dell'Esilio":

Da quando miro la terra
e poi contemplo il cielo,
e de' l'erbe parlo ad ogni stelo,
io vado sempre per quella via:
una cavedagna erbosa,
tutta verde e silenziosa,
e pur soffusa di malinconia...

Cavedagna, cavedagna erbosa,
tanto verde e silenziosa,
dimmi, hai tu contato i miei passi?

Sai, io ho contato i tuoi steli,
e certi gambi, i più alti,
li ho tutti quanti nominati:
Giulio, Bruno, Emilio, Rino e Santi,
i cari amici perduti...

Infine, un esile filo, un filo
che dondolava solo,
accorato di nostalgia,
l'ho chiamato: Silvia mia!

Cavedagna, cavedagna erbosa,
tanto verde e silenziosa,
tu ondeggi i mille steli,
io contemplo gli immensi cieli;
e mentre un sentimento irrompe,
già mi par di posare
su que' cirri porporini
e di vagare, di volare
incontro a' miei maestri:
don Milani e Mazzini...

Mentre Bernardo Bolognesi e Francesco Merini hanno girato un lungometraggio dal titolo "Cavedagne". Il critico Piero Di Domenico ci parla in breve della trama: "Bologna, 2002. Le strade della città sono un labirinto in cui numerosi personaggi si aggirano, cercando faticosamente di costruire il proprio destino o semplicemente di vivere. Fra questi Bernardo, in bilico fra la professione di avvocato e la passione per la cucina e la ristorazione, i suoi amici Carlo e Giulio, Vera, che arriva dall’America meridionale, Bene, giovane damsiana alle prese con la materializzazione della Morte, Igor e Viktor, due fratelli di origine russa dediti alla microcriminalità e incapaci di trovare un proprio posto nella società civile. Un capannone industriale da svuotare diventa il luogo in cui i sogni e i destini di Bernardo e Carlo da un lato, Igor e Viktor dall’altro, si incrociano e si ostacolano. Ne scaturisce un viaggio/inseguimento delirante che conduce i personaggi fuori dalla città, verso la campagna e il mare. Alla fine del viaggio Bernardo riuscirà a uscire dal labirinto e a trovare la forza di coltivare i propri sogni.

sabato 1 settembre 2007

Zabriskie Point



Los Angeles, periodo della contestazione studentesca. Mark è critico nei confronti dei suoi compagni che ritiene troppo morbidi nelle loro forme di contestazione.
A seguito di un duro scontro all'università in cui sia uno studente che un poliziotto perdono la vita, entra in un piccolo aeroporto privato e ruba un aeroplano. Vola verso il deserto e incontra la macchina in cui viaggia Daria, diretta alla casa del suo capo e amante. Dopo uno strano corteggiamento aereo raggiungono il Punto di Zabriskie, nella Death Valley e fanno l'amore.
In seguito Mark segue il suo proposito di riportare l'aereo dove lo aveva preso e viene ucciso dalla polizia sulla pista di atterraggio a Los Angeles. Daria raggiunge la villa a Phoenix in cui è il suo capo, ma dopo essere rimasta un attimo con questi, decide di tornare alla macchina. Voltandosi, immagina la villa scoppiare in una spettacolare esplosione, ripetuta più volte e da diversi punti di vista.

Questa è in breve la trama del film di Michelangelo Antonioni che ho voluto vedere ieri sera per rendere omaggio ad uno dei più grandi registi italiani, scomparso di recente.
Questo film fa parte di quella cinematografia che canta l'innocenza hippy contro la crudeltà del falso perbenismo borghese.
La frase "Go west, young men" è sempre stata presa terribilmente sul serio dagli americani, basti pensare all'epopea del West. Circa un secolo dopo questa epopea si diceva che l'America era una specie di piano inclinato e tutto quello che non aveva radici rotolava verso la California, con il suo clima benedetto, diventata nel frattempo un simbolo, l'immagine del regno della libertà.
E quindi anche il cinema americano più libero e più ribelle, fuori dagli schemi di Hollywood, è tutta una fuga verso questa nuova frontiera ad ovest, fuga fatta lungo le highways americane.
Paradossalmente invece, nel film-manifesto di quegli anni, "Easy Rider" (1969), la fuga parte dalla California e avviene verso est. Peter Fonda (Captain America) e Dennis Hopper (Billy) vendono una partita di droga e decidono di partire alla volta del Mardi Gras a New Orleans e successivamente di proseguire verso la Florida, sempre a bordo dei loro chopper. Il film ci fa conoscere anche un giovane Jack Nicholson, che nel film verrà ucciso dai lavoratori locali del Sud. Come si sa, il viaggio di Captain America, gentile ribelle amante dell'erba, finisce molto prima di arrivare in Florida.
Grande successo del cinema americano indipendente, riconosciuto anche dalla critica a Cannes, "Easy Rider" divenne il manifesto di una stagione e un successo per il messaggio che portava: un proclama dell'innocenza hippy, della gentilezza della cultura dei fiori contrapposte alla rozzezza e alla cattiveria delle persone apparentemente perbene che tirano al piccione non appena trovano qualcuno diverso da loro, non inquadrato nel sistema.
Il film è accompagnato da una stupenda colonna sonora che mescola Steppenwolf, Byrds, The Band, Jimi Hendrix e Bob Dylan.
Anche il film di Antonioni va ricordato per una bella colonna sonora che mescola il country al rock della chitarra di Jerry Garcia dei Grateful Dead e dei Pink Floyd.
Memorabili le scene degli hippy che fanno l'amore sui calanchi della Death Valley (il deserto come metafora del vuoto nel quale gli incontri hanno un significato particolare) e l'esplosione finale della casa del ricco capo e amante della protagonista Daria, che salta in aria al rallentatore con tutti i simboli del benessere americano.
L'America on the road già cantata da Jack Kerouac diventa un genere cinematografico, oltre che un simbolo.

Un paio di indirizzi

www.charity-ware.org
A questo sito aderiscono sviluppatori di software informatici filantropi e solidali. Alcuni di loro chiedono un contributo, altri mettono a disposizione il programma "free". Si trovano programmi per vari usi.

www.careerbuilder.com/age-o-matic
Provate a interrogare l'age-o-matic per scoprire quali effetti sortisce su di voi il vostro lavoro. Basta caricare una vostra foto, rispondere ad alcune domande, e scoprire quanto il vostro lavoro è usurante. E' un gioco ovviamente, ma serve a ricordare sempre di crearsi sacche di svago e soddisfazione personale al di fuori dell'ambiente lavorativo.

Jimi Hendrix on Fire - Goodbye Art - 04

Un esempio di speed art o speed painting. Centinaia di artisti da tutto il mondo stanno invadendo la Rete con le loro opere realizzate con questa innovativa forma d’arte. Il risultato è molto semplice, ma allo stesso tempo coinvolgente: in pochi minuti si può assistere alla creazione dell’opera. Curiosi di capire come un quadro si realizzi, gli utenti si riuniscono "virtualmente" attorno all’artista, come si fa passando accanto ai ritrattisti di strada. Tra i soggetti più disegnati ci sono supereroi, attori, attrici, musicisti, ma anche i protagonisti delle serie tv di successo del momento.
Il più famoso artista italiano è Manlio Noto, "speed-painter" a metà tra musica blues e pittura (http://www.manlionoto.it/indexx.htm).