domenica 29 aprile 2007

Ricordo di una fine di marzo


Fine settimana al mare nelle Marche, con l’impressione di poter staccare la spina per un paio di giorni, cambiando aria, ambiente. A parte che risulta difficile quando ci si porta sempre appresso i propri fantasmi interiori, comunque il luogo e le facce sono sempre le stesse per me da oltre vent’anni.
Un’oretta di passeggiata di mattina sul tardi, prima dell’ora di pranzo. Una camminata sulla spiaggia, in riva al mare, per respirare a pieni polmoni l’aria salmastra e prendersi il sole di primavera (io, pallido venuto dalla Pianura Padana).
Osservo il mare, il suo colore, la tonalità, l’intensità e la vivacità. Boe sparse qua e là come tante teste emerse dall’acqua e sottoposte al perpetuo supplizio delle onde.
La spiaggia è quasi vuota. Di tanto in tanto giovani coppie, con bimbo piccolo al seguito o senza, oppure bimbi con mamme giovani e carine, persone a spasso col cane o in tuta che corrono, gruppi di amici che passeggiano e discutono e in ultimo qualche individuo di animo temerario e zingaresco che, in costume, si sdraia su un telo da mare a prendere il sole senza curarsi del vento ancora un po’ freddo.
Pedalò infossati, funghi disseminati qua e là e sprovvisti di ombrelloni, qualche sedia o sdraio, chalet per forza di cose ancora chiusi, con i giochi per bambini ricoperti dalla sabbia. Trattori parcheggiati, vecchi giganti rugginosi, con al traino un motoscafo o una barca da pesca. Qualche pescatore che ritorna a casa camminando eretto, portamento fiero, sguardo fisso dinanzi a sé e capelli al vento. Individui maturi e pieni di dignità, con il profilo greco e la pelle eternamente bruciata dal sole.
Cammino e guardo la sabbia. Vedo ossi di seppia e mi ricordo di Montale: il mare agitato è il simbolo della vita vissuta con il suo tormento e questi ossi di seppia lasciati sulla spiaggia dalle correnti rappresentano noi, il nostro abbandono e la nostra fine.
Ma la spiaggia è ricca di tanti altri elementi. Orme di zoccoli di cavalli (qualcuno è venuto sul presto a cavalcare sul bagnasciuga), legni di varie dimensioni – tra di loro pezzi di tronchi di palma – trasportati dalle correnti, miriadi di quelle che nella lingua di queste parti vengono chiamate “cocchie” di cozze, vongole ecc.
Ma ci sono anche cose che contribuiscono a dare alla sabbia un fascino macabro (ad esclusione dei vari vecchi pneumatici, pezzi di polistirolo o pezzi di plastica di varie fogge, dimensioni e colori, elementi tutt’altro che poetici ed esempi di cose che per quanto siano facili da produrre in grandi quantità è di contro difficile sbarazzarsene): una carcassa di gabbiano morto, ancora con qualche piuma addosso e una cosa in particolare che ho trovato. A vederla da lontano mi sembrava una zanna d’elefante levigata dalla corrente (il circo passa spessissimo da queste parti), ma poi mi sono avvicinato e ho visto meglio: è un pezzo d’osso, di osso dell’anca, quindi un osso umano. Come ha fatto a finire qui sulla spiaggia? E’ stato senz’altro trasportato dal mare. Ho voluto pensare che sia un resto mortale di una persona sfortunata inghiottita dalla furia delle onde del mare in tempesta. L’ho raccolto e portato a casa.

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