sabato 6 ottobre 2007

Viaggiare

1) VIAGGIO

"A chi mi domanda la ragione dei miei viaggi rispondo che so bene quello che fuggo ma non quello che cerco."
Michel de Montaigne


La parola "viaggio" deriva dal provenzale viatge, che a sua volta proviene dal latino viaticum, un derivato di via. "Viaticum" in latino era la provvista necessaria per mettersi in viaggio, e passò più tardi a significare il viaggio stesso. Nel suo significato più generale il viaggio è l’azione di muoversi per andare da un luogo a un altro. L’uso più frequente di viaggio è quello che indica il giro in paesi diversi dal proprio. Nel Medioevo il viaggio per eccellenza era quello in Terra Santa, cioè il pellegrinaggio ai luoghi sacri del Cristianesimo. La mobilità è molto cresciuta nel corso dei secoli, e le distanze si sono accorciate enormemente col migliorare dei collegamenti; ma nel linguaggio familiare "viaggio" conserva a volte il senso di impegno, lunghezza, fatica che era proprio dei viaggi di una volta. Il percorso del viaggio può essere anche soltanto ideale, fantastico. La letteratura di viaggio fu un genere molto fortunato in Europa fino alla metà del Settecento. In periodi più vicini a noi, uno scrittore come Emilio Salgari, famoso per l’ambientazione esotica dei suoi romanzi, inventò i viaggi dei suoi eroi in luoghi che non aveva mai visto: la Malesia di Sandokan e Yanez è ricostruita tutta a tavolino. L’immagine della vita come viaggio è profondamente radicata in molte culture di tutto il mondo, ed è logico che la lingua ne rifletta l’importanza e la diffusione.


2) SCOPERTA

"L'americano che scoprì per primo Colombo fece una brutta scoperta."
Lichtenberg

La parola "scoperta" deriva dal verbo scoprire. Questa famiglia di parole è nata in italiano ed è priva di antenati diretti in latino, ma ciò non significa che il concetto di scoperta fosse sconosciuto nell’antichità. Anzi, il confronto delle parole italiane con i loro corrispondenti latini ci mostra due modi diversi di immaginare il processo di conoscenza. In latino scoperta si diceva inventio e scoprire si diceva invenire: la scoperta era vista come un entrar dentro la cosa che si conosce. In italiano, invece, la vista è il più importante dei cinque sensi, l’elemento principale della conoscenza: la cosa che si scopre è immaginata coperta da un velo, e la scoperta è l’atto di togliere quel velo, l’atto dello scoprire per vedere ciò che prima era sconosciuto. Sappiamo bene o male quali tra i nostri progenitori hanno iniziato a usare il fuoco che trovavano acceso da agenti naturali, ma non sappiamo quando hanno scoperto come accenderlo loro stessi, e può darsi che questa scoperta sia stata fatta più volte, in luoghi e tempi diversi. Una scoperta è un atto di conoscenza diretto: si scopre con l’esperienza prima che con l’intelligenza. La scoperta segue da vicino l’esplorazione, e questa coppia di parole evoca un’atmosfera di terre esotiche, di viaggi pericolosi e senza ritorno. Non tutte le scoperte riguardano nuovi continenti, non tutte hanno fatto epoca. Le scoperte possono essere piccole, private: si possono scoprire cose note a tutto il mondo e che siamo gli unici a non conoscere. In questo senso, fare una scoperta vuol dire semplicemente imparare qualcosa: i bambini neonati fanno prima la scoperta della voce, poi quella delle mani: l’amore, il dolore, la passione sono emozioni che tutti conoscono ma che ciascuno scopre da solo.


3) ESPLORAZIONE


"Quand’ero ragazzino avevo una passione per le carte geografiche, le contemplavo per ore e mi perdevo in tutti gli splendori dell'esplorazione."
Joseph Conrad


La parola "esplorazione" è un vocabolo di origine colta, che proviene dal latino exploratio, a sua volta derivato dal verbo exploro. Il significato generale di esplorazione è quello di "indagine su cose sconosciute". Di solito si parla di esplorazione per indicare un’indagine con obiettivi concreti: l’esplorazione di una foresta vergine, di una miniera, di una città che non si conosce. L’esplorazione tipica è una ricognizione sul campo, fatta alla ricerca di qualcosa che si presume di poter trovare nelle zone esplorate. L’immagine romantica dell’esploratore ci è stata consegnata dalla letteratura di viaggio e dal cinema: James Cook che esplora la Nuova Zelanda e l’Australia, Henry Morton Stanley e David Livingstone che risalgono il corso dei grandi fiumi africani, il comandante Umberto Nobile che vola fino al Polo coi dirigibili Norge e Italia. Ma a parte i libri e i film, la passione per la scoperta scientifica è stata solo raramente il movente principale delle esplorazioni. Un personaggio come Marco Polo ci ricorda che nel Medioevo i più grandi esploratori erano mercanti e non scienziati. Al ritorno dalle loro spedizioni questi personaggi dovevano riportare balle di mercanzie, non semplici relazioni di viaggio. Ma proprio grazie a quelle relazioni di viaggio, i nomi di frutti, piante e animali esotici, parole che poi sarebbero diventate comuni, come ananas o bambù, banana o giaguaro, sono entrate per la prima volta nelle lingue dell’Europa coloniale. Una forma di moderna esplorazione è la ricerca che possiamo svolgere attraverso il mezzo informatico, navigando in rete. Le reti di computer infatti ci stanno abituando ad avere molte informazioni in più di quel che ci servirebbe. Nel giro di una ventina d’anni il problema primario dello scienziato, la raccolta dei dati, si è trasformato nel problema opposto, quello di selezionare i dati migliori dentro una massa di notizie poco controllabili. Ma per settori come la geografia, la zoologia, la botanica e in generale per tutte le scienze della terra, Internet non ha ancora sostituito l’esperienza diretta, e l’esplorazione è ancora una fase indispensabile della ricerca scientifica, cioè il mezzo più naturale per chi voglia conoscere.


4) PASSIONE


"Egli si sedette di fronte a lei con quel timore e quella timidezza che danno le passioni vere."
Madame de La Fayette


La parola "passione" proviene dal latino passio, a sua volta derivato dal verbo pati che significava "sopportare, patire". In realtà, in latino classico passio voleva dire solo "turbamento dell’animo": il significato di "sofferenza, patimento" è nato traducendo il greco dei Vangeli, nei quali con pathos si indicava appunto il martirio di Gesù. Proprio perché è una delle parole chiave della predicazione cristiana, passione è stata usata fin dagli inizi della nostra letteratura, da autori come Dante e Iacopone da Todi. Nella cultura medievale il significato principale di passione è quello di "sofferenza del corpo, tormento fisico", legato inizialmente alla narrazione evangelica e poi esteso a qualsiasi dolore. Questo significato è giunto fino a noi, con diverse sfumature. Chiamiamo infatti passioni i sentimenti incontrollabili come l’amore, l’odio o la gelosia, che spingono chi li prova ad azioni definitive, senza ritorno. In particolare, passione può significare l’amore sensuale, anche violento, e indicare la persona che è oggetto di quell’amore. E’ passione il trasporto totale per un’idea o un’opinione: la passione politica, ad esempio. Sentimenti a parte, chiamiamo passione anche l’interesse: la passione per i viaggi, la passione per la ricerca, per le esplorazioni. Le parole collegate con passione ne sviluppano soprattutto i significati positivi, il senso di curiosità, interesse e scoperta, talvolta una vera vocazione che ci spinge verso qualcosa.


5) RITORNO


"Nessuno ritorna volentieri nei posti dove ha sofferto."
Fedro


Il ritorno è il modo, l’atto e l’effetto del ritornare nel luogo dal quale ci si era allontanati. Il luogo del ritorno può essere o non essere un luogo fisico, reale: si fa ritorno a casa dopo un viaggio di esplorazione così come, durante una discussione, si fa ritorno a un argomento che già si era affrontato. Il partire e il ritornare possono essere considerati anche dal punto di vista del tempo e non dello spazio: in questo senso si parla di ritorno della primavera, di ritorno dell’alba ogni mattino. Il ritorno ha un significato preciso anche in filosofia. Filosofi come Pitagora, Platone e Nietzsche hanno elaborato in vari modi la cosiddetta teoria dell’eterno ritorno, secondo la quale i fatti dell’universo si ripetono ciclicamente: conoscere significa ricordare, ogni cosa è già avvenuta, e la storia non si sviluppa in linea retta ma in cerchio, come suggerisce il poema del ritorno, l’Odissea di Omero.

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Il viaggio è inteso non solo in senso concreto e realistico (di spostamento nello spazio e nel tempo), ma anche in senso simbolico di desiderio, tensione di conoscenza e di ricerca e - viceversa - di distacco, di esilio, di perdita, di allontanamento da sé e dalle cose più care.


Omero


Esiste un'opera nella letteratura di tutti tempi che riassume - forse integralmente - i significati concreti e simbolici legati al tema del viaggio: l'Odissea di Omero. Il viaggio di Ulisse è un viaggio di ritorno (nostos), dalla guerra di Troia alla sua nativa Itaca, la patria abbandonata e ritrovata insieme alla moglie Penelope ed al figlio Telemaco. Quindi il viaggio può essere considerato inizialmente nella sua circolarità (partenza/percorso/ arrivo e recupero) ove emerge soprattutto la finalità ultima della meta, del raggiungimento di uno scopo (la ricongiunzione, la riconquista definitiva della stabilità attorno ai valori originari). Ma immediatamente, rileggendo attentamente la vicenda di Ulisse, si nota che il viaggio non può consistere solo nell'approdo al porto finale, ma piuttosto nel superamento di mille pericoli, ostacoli, prove e nella verifica di mille esperienze. Il viaggio diventa prova di conoscenza, nel senso più ampio del termine. Esso è lo stimolo naturale alla ricerca del nuovo, l'istintiva attrazione/repulsione per ciò che ci è estraneo, la misura della distanza che ci separa dalle realtà sconosciute, la sfida al confronto, l'abilità di relazionarsi con il diverso da noi, la capacità di adattamento a situazioni imprevedibili. Narrativamente l'Odissea propone queste articolazioni tematiche attraverso le avventure che toccano Ulisse: il mondo meraviglioso di mostri (Polifemo) maghe (Circe), sortilegi (le Sirene) e tentazioni minacciose (Calipso). Ma l'Odissea rivela anche un'interessante varietà di atteggiamenti nel carattere del navigatore-viaggiatore Ulisse: la tenacia nel sopportare le avversità naturali (tempeste), l'astuzia nell'aggirare pericolosi imprevisti (Polifemo), la temerarietà nel varcare la sfera del conoscibile (viaggio agli Inferi), l'abilità retorica nel narrare le varie tappe della sua peregrinazione (il racconto ad Alcinoo), l'eroismo ed il coraggio fisico, il gusto del rischio e dell'avventura.Dunque il significato del viaggio è soprattutto nel suo percorso: la meta può materializzarsi in modo imprevedibile e talvolta può addirittura sfuggire, può essere perennemente e vanamente inseguita. Nell'elaborazione del mito di Ulisse che Dante propone nel canto XXVI dell'Inferno, emerge una nuova interpretazione del mito, contrassegnato da una sete conoscitiva sfrenata (e colpevole per Dante) che lo porta alla morte, legata al suo peccato di superbia nei confronti dei decreti divini.


La violazione del sacro è un' altra delle minacce oscure che attendono chi si inoltra nei territori sconosciuti ma eccitanti della scoperta. La rivelazione di ciò che non appartiene alla nostra cultura spesso è misteriosa e rischiosa risulta l'imperfetta interpretazione dei segni proposti a chi perlustra l'ignoto da parte del divino (Coleridge).

Coleridge

Il viaggio in mare è del resto metafora della vita. Essa è come una navigazione che si concluderà in un porto assalito dalla tempesta. L'esistenza (la nave) è destinata a perdere la sua guida (la ragione) ed il poeta che rappresenta il dramma umano, si sente in balia di se stesso.


La vita fugge e non s'arresta un'ora,
e la morte vien dietro a gran giornate,
e le cose presenti e le passate
mi danno guerra e le future ancora;

e 'l rimembrare e l'aspettar m'accora
or quinci or quindi, sì che 'n veritate,
se non ch'io ho di me stesso pietate,
i' sarei già di questi pensier fora.

Tornami avanti s'alcun dolce mai
ebbe 'l cor tristo, e poi l'altra parte

veggio al mio navigar turbati i venti;
veggio fortuna in porto, e stanco omai
il mio nocchier, e rotte arbore e sarte,
e i lumi bei, che mirar soglio, spenti.

F. Petrarca, Canzoniere


L'interpretazione dantesca del viaggio di Ulisse nell'emisfero delle acque come folle volo indirettamente anticipa una valenza importante del tema nella letteratura ottocentesca e novecentesca. Il viaggio diventa sempre più metafora dell'abbandono, il navigante si fa naufrago nei gorghi dell'esistenza, la meta si annulla nella ricerca dell'illimitato, dell'informe, dell'infinito. (P. Collini, Wanderung, il viaggio dei romantici). Il primo personaggio letterario che - modernamente - si affida alla legge del mare come sfida agli spazi chiusi della storia e della vita sulla terra è Robinson Crusoe. Anch'egli vive le tappe della tradizionale esperienza: la partenza, il naufragio e l'esilio in un'isola, il ritorno. Robinson controllerà pienamente le realtà minacciose ed estranee alla sua cultura e la sua logica pragmatica e mercantile, nell'isolamento, avrà modo di sperimentare tutta la sua efficienza, tanto da imporla come unica legge della realtà. Il Settecento illuminista inaugura anche un altro tipo di viaggio: il Gran Tour. Con l'espressione si é soliti definire il viaggio di istruzione e di formazione, ma anche di divertimento e di svago, e perché no di avventura, che le élites europee prima, e americane poi, intraprendono attraverso l'Europa. Protagonisti indiscussi del Grand Tour sono i giovani che hanno appena concluso gli studi. Con il viaggio, la loro educazione si completa e si perfeziona: le solide conoscenze apprese nelle università si fanno più duttili, si arricchiscono dell'uso di mondo, si aprono alla moda, al gusto e alla competenza estetica, si completano con la conoscenza comparata degli uomini e delle nazioni. A viaggiare sono anche diplomatici, filosofi, collezionisti, amatori d'arte, romanzieri, poeti, artisti. Meta privilegiata è l'Italia, culla della civiltà e dell'arte. Tra le esperienze di viaggio più famose in questo senso quelle di Goethe, Byron, Stendhal.T utta particolare l'esperienza di V. Alfieri che farà dei suoi viaggi europei una tappa importante della sua presa di coscienza delle contraddizioni della società di corte settecentesca e sperimenterà le seduzioni dei solitari paesaggi nordici, nutrendo una sensibilità squisitamente romantica. Con il procedere del tempo l'abbandono degli spazi rassicuranti della propria terra e della propria società sarà sempre meno funzionale ad una riconferma dei valori acquisiti. Il viaggio - come percorso da leggersi soprattutto per le tappe che propone alla riconquista del proprio io - assume dimensioni sempre più conturbanti, ove si assolutizza la frattura tra stabilità e di-versione, tra padronanza certa di valori ed estraniazione dalla storia. Il tema dell'esilio, come forzoso allontanamento dalla patria, è motivo doloroso presente in molta letteratura romantica. A livello simbolico il mare aperto, spazio sconfinato della solitudine è la vera dimensione conturbante dove il naufragio è sempre possibile, mentre le isole felici - simboli topici dell'abbandono e dell'oblio - vengono inseguite come luoghi dell'interiorità, dove la natura sembra proteggere l'utopia di un mondo intatto e irraggiungibile nella sua separatezza. Dal topos dell' isola felice, del buon selvaggio, del paradiso perduto germinerà anche il motivo dell'esotismo (come idealizzazione di forme di civiltà intatte che incarnano una purezza estranea alla civiltà occidentale). Il mito di Ulisse, reinterpretato da un po' tutte le età, viene ripreso nel Novecento, proprio per gli elementi di apertura ed ambiguità che racchiude. Sono le motivazioni al viaggio di ricerca esistenziale che rendono vitale questo mito. La ricerca avviene essenzialmente nella dimensione interiore ed inconscia . Rimbaud nel suo "Battello ebbro" ripropone un'evanescente metafora del viaggio come frattura, totale allontanamento da ciò che è noto, ma soprattutto come perdita di sensibilità, pieno abbandono alla tenue oscillazione delle acque, all'ondeggiamento, alla fluttuazione che richiama una tutta originale forma di purificazione quasi infantile. Pascoli ripropone invece nell' "Ultimo viaggio" un Ulisse esule, sconfitto, alla vana ricerca di una verità superiore, che incontra la morte nell'isola di Calipso dopo una vana interrogazione sul senso della vita. Infine l' "Ulisse" di Joyce ripropone ancora il topos dell'eroe viaggiatore, ambientando questa volta la vicenda nella moderna città di Dublino, sede della vana ricerca di senso della vita da parte dell'uomo moderno, proteso a dare significato alla banalità del quotidiano, in un flusso inesausto di pensieri. Il viaggio dunque racchiude una sostanziale polarità tra la fedeltà alle radici della terra natale, della patria, dei valori della società in cui si vive e la scommessa della ricerca, della conoscenza piena dell'altro. E' rischio di perdita ma anche promessa di conquista, è speranza di ritorno ma anche abbandono angoscioso all'ignoto. Altri autori legati al tema del viaggio sono: Stendhal, Goethe, Madame de Staël, Melville, Thomas Mann, Roth, Canetti, Blixen, Celine, Saint Exupery, Tournier, Hemimgway, Moravia, Steinbeck.

Per approfondire la tematica del viaggio nel tempo:

http://it.wikipedia.org/wiki/Viaggio_nel_tempo

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