mercoledì 24 ottobre 2007

Notizie sparse



I primi elogi di Donald Tusk, vincitore delle elezioni di domenica in Polonia, sono andati ai due personaggi che i gemelli Kaczynski esecravano in modo speciale: Lech Walesa, fondatore di Solidarnosc negli Anni Ottanta ed ex Presidente della Repubblica, e Wladyslaw Bartoszewski, ministro degli Esteri nel 1995, eroe della seconda guerra mondiale, internato a Auschwitz fra il 1940 e il 1941, combattente nell’insurrezione di Varsavia, militante di Solidarnosc.
Ambedue incarnano la storia terribile e coraggiosa della Polonia moderna: l’invasione tedesca, i campi di sterminio hitleriani, l’insurrezione antinazista a Varsavia, la lunga resistenza ai totalitarismi.
Settant'anni di storia erano stati rinnegati dai fratelli Kaczynski, che in mente avevano un unico sogno ossessivo: riscrivere la storia deturpandola, denunciare la Germania come segreta vincitrice dell’ultimo conflitto, vendicare le sofferenze della nazione restituendole una grandezza smisurata e del tutto irrealistica. La Quarta Repubblica annunciata dai gemelli aveva pretese messianiche, era cattolico-integralista, s’immergeva in cicliche crociate moralizzatrici contro chiunque si presentasse come diverso (diverso in quanto gay, o pensatore indipendente, o estimatore di scrittori anticonformisti come Kafka, Gombrowicz, Dostoevskij).
Era una Polonia incapace di nutrir dubbi su se stessa e i propri antichi nemici. Come se non ci fossero stati in Europa, nel frattempo, riconciliazione e apprendimento di un diverso modo di esser patria, Stato. L’invenzione di una nazione assolutamente sovrana, mai artefice e sempre vittima della storia, è scaturita da quest’ubriacatura mentale e politica. Bartoszewski, che ha scritto sulle azioni eroiche dei polacchi in favore degli ebrei durante il genocidio ma anche sulle loro indifferenze, era un avversario pericoloso.
Gli elettori polacchi hanno mandato a casa un regime che ha usato due anni di arbitrio per rovinare non solo il prestigio nazionale ma anche il farsi dell’Europa.
L’ostilità spasmodica che i Kaczynski nutrono per l’Europa è il primo mostro che sarà debellato, anche se uno dei due gemelli, Lech, resterà alla Presidenza della Repubblica fino al 2010, con vasti poteri di veto. Comunque potrebbe esserci il ritiro dei soldati dall’Iraq, e un negoziato sullo scudo antimissile americano che non trascurerà esigenze e riserve di altri governi europei.
Di quest’Europa, i Kaczynski hanno mostrato di non capire nulla. Hanno fatto finta che fosse una confederazione di Stati rimasti immutati, sovrani come nell’epoca precedente la fine delle due guerre mondiali, e con estrema disinvoltura hanno sistematicamente idolatrato l’indipendenza totale della nazione, presentandola come libertà da influenze esterne. Al pari dell’Inghilterra, ma senza i suoi costumi democratici, si sono aggrappati al diritto di veto, hanno paralizzato i lavori sulla costituzione, hanno scelto di restar fuori dalla Carta dei diritti fondamentali, che tutti gli altri governi dell’Unione son pronti a considerare giuridicamente vincolante.
Quello che i Kaczynski non avevano compreso, della storia recente d’Europa, è la sua ragion d’essere profonda. Non avevano compreso che l’avventura era nata da una critica radicale degli Stati ottocenteschi, delle insolenze nazionalistiche sfociate in due guerre rovinose per il continente, dei rapporti di forza fondati su Stati che si equilibrano l’un l’altro ostilmente (la cosiddetta balance of power). Era anche nata dalla consapevolezza che non s’imponeva solo una laica separazione tra fede e politica, ma anche una netta separazione fra cultura e politica, magistratura e politica, economia e politica: separazioni che i Kaczynski hanno sprezzato. La Carta europea dei diritti e la protezione delle minoranze non è un ornamento recente dell’Unione: si riconnette al come e al perché della sua fondazione.

La Polonia del ressentiment apparsa negli ultimi anni ha somiglianze impressionanti con l’Italia che Berlusconi ha cambiato, plasmato. Anche da noi ci sono forze di destra che speculano sul ressentiment e costruiscono sul rancore, il vittimismo, l’invenzione della realtà. Anche queste forze hanno potere sui mezzi di comunicazione, usano l’anticomunismo come arma per tacitare ogni critica, sono sospettose verso le separazioni molteplici che la laicità insegna. Anche in Italia l’integralismo cattolico ha accresciuto il proprio peso, profittando della politica divenuta campo di battaglia fra amici e nemici mortali.

Non tutto s’aggiusterà presto a Varsavia. Perché Lech Kaczynski resta capo dello Stato. Perché l’ex Premier gemello ha influenze forti su numerosi centri di potere, anche nei servizi segreti. È probabile che Tusk avrà bisogno dei postcomunisti di Aleksander Kwasniewski, per poter opporre ai veti presidenziali la maggioranza di tre quinti richiesta in Parlamento. Ma il ritorno in Europa può riprendere. Soprattutto se la Polonia capirà di non abitare più i primi del Novecento, e accetterà di esser figlia della storia europea postbellica e del suo saggio correggersi e ravvedersi.

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Norme sui blog. Resteranno le norme attuali?

Il Ministro delle Comunicazioni Paolo Gentiloni intende lasciare immutate le attuali norme su internet. Parlando delle norme sull'editoria on-line contenute nel decreto di legge sull'editoria, che stanno allarmando i blogger, Gentiloni ha sottolineato che "la formulazione attuale della nuova legge è talmente generica che potrebbe prestarsi a interpretazioni sbagliate: forse la cosa migliore sarebbe quella di lasciare le cose così come stanno".

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La Turchia respinge il cessate il fuoco offerto dal Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk) e ottiene il sostegno del governo di Baghdad contro i ribelli curdi attivi nel nord dell'Iraq.

Intanto, Ankara continua ad ammassare truppe lungo il confine con il Kurdistan iracheno, mentre i combattenti curdi peshmerga controllano il versante iracheno, e non esclude la possibilità di un'incursione congiunta con gli Stati Uniti. "Il cessate il fuoco è possibile tra stati e forze armate regolari. Il nostro problema è che abbiamo a che fare con un'organizzazione terroristica", ha detto il ministro degli Esteri turco, Ali Babacan, nella conferenza stampa congiunta tenuta a Baghdad con l'omologo iracheno, Hoshyar Zebari. Il Pkk aveva annunciato ieri di essere pronto a un cessate il fuoco unilaterale "se l'esercito turco rinuncia ad attaccare le nostre posizioni, abbandona i progetti di incursione e si impegna per la pace".
Da parte sua l'Iraq ha annunciato che collaborerà con la Turchia per far fronte alla "minaccia" posta dal Pkk, sottolineando tuttavia la complessità della crisi e auspicando che Ankara non lanci l'incursione, che potrebbe destabilizzare l'unica zona relativamente tranquilla del Paese. Prima di raggiungere Londra, il premier turco ha ipotizzato il coinvolgimento Usa in una possibile offensiva militare nel Kurdistan iracheno. "Il Segretario di Stato americano (Condoleezza) Rice mi ha chiamato, ho capito che era in ansia e che intende fare un'operazione congiunta contro il Pkk nel nord del Iraq", ha detto alla stampa. Ipotesi accreditata anche dal leader curdo Mahomud Osman, parlamentare a Baghdad, secondo cui "è ormai cosa fatta l'accordo tra Usa e Turchia per condurre operazioni congiunte" nel nord del Paese per smantellare le basi dei separatisti curdi. Elicotteri militari hanno trasportato due notti fa unità da combattimento turche dopo l'arrivo, il giorno prima, di decine di veicoli militari con soldati e armi. La stampa turca ha inoltre riferito di aerei da combattimento F-16 pronti a intervenire nel nord dell'Iraq. Sul fronte iracheno, i peshmerga controllano le centinaia di autovetture che attraversano il ponte che collega il sud della Turchia con il nord dell'Iraq. La situazione si è aggravata dopo gli scontri di domenica scorsa nella provincia di Hakkaria, nella regione sud-orientale turca vicino al confine iracheno, costati la vita a 16 militari e 32 ribelli. Altri otto soldati sono stati dati per dispersi dall'esercito, ma il Pkk ne ha rivendicato il sequestro. "Vengono trattati bene - ha detto un portavoce dei ribelli - non faremo loro del male". Il portavoce ha sottolineato che i militari sono trattati come prigionieri di guerra.

Intanto, il parlamento del Kurdistan si riunirà per discutere dell'eventualità dell'intervento armato delle truppe turche all'interno dei territori della provincia autonoma del Kurdistan iracheno.

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