giovedì 29 novembre 2007

In morte della cultura francese?


Donal Morrison e Grant Rosenberg, corrispondenti per il settimanale TIME da Parigi, hanno realizzato per il numero della settimana corrente un interessante articolo dal titolo "In Search Of Lost Time", dedicato al (presunto) declino della cultura francese, o per meglio dire, alla perdita, da parte della Francia, del suo status di superpotenza culturale. Segno dei tempi che cambiano? La terra di artisti del passato o viventi di importanza mondiale, la terra di Proust, Monet, Piaf e Truffaut potrà mai riacquistare la sua gloria?
L'autunno significa molte cose per molti paesi, ma in Francia, in modo particolare, segnala l'alba di un nuovo anno culturale.
E non c'è nessun altro paese che prende la cultura in così seria considerazione come la Francia, dove essa gode di generose sovvenzioni.
Ogni città di qualsiasi dimensione in Francia ha il suo festival annuale di teatro o di opera lirica.
In passato ammirata per l'eccellenza dei suoi scrittori, pittori e musicisti, la Francia oggi è una potenza evanescente nell'arena culturale globale.
Solo una manciata di romanzi usciti quest'anno in Francia troverà un editore disposto a pubblicarli all'estero.
Le precedenti generazioni di scrittori (Molière, Hugo, Balzac, Flaubert, Proust, Sartre, Camus, Malraux) non mancavano di schiere di lettori all'estero. Perdipiù, la Francia annovera una dozzina di premi Nobel per la letteratura, più di qualsiasi altra nazione.
L'industria cinematografica francese - la più grande al mondo un secolo fa - deve lottare per riguadagnare la New Wave che ebbe negli anni '60, quando registi come Truffaut e Godard stavano riscrivendo le regole del cinema. La Francia ancora oggi sforna più di 200 film all'anno, più di qualsiasi altro paese in Europa. Ma il più delle volte i prodotti cinematografici sono leggeri e a basso costo, perdipiù solo per il mercato interno. I film di Hollywood coprono il 50% del mercato cinematografico.
L'arena artistica parigina, luogo di nascita dell'Impressionismo, del Surrealismo e di tanti altri movimenti è stata soppiantata, per lo meno in termini commerciali, da New York e Londra.
Il profilo culturale in declino della Francia potrebbe essere considerato uno dei tanti crucci nazionali, come il basso tasso di natalità in Italia, se la Francia non fosse la Francia. La Francia è un paese dove la promozione dell'influenza culturale è un cardine della politica nazionale da secoli, dove i filosofi e i nuovi musei sono simboli d'orgoglio e di patriottismo.
Molti francesi pensano che il paese e la sua cultura siano in declino dal 1940, anno dell'umiliante occupazione tedesca, altri pensano dal 1954, anno del conflitto con l'Algeria, o dal 1968, l'anno rivoluzionario che ha portato alla ribalta una nuova generazione di persone che ha influenzato l'educazione.
Per i francesi di qualsiasi colore politico, il déclinisme è comunque un argomento di attualità di questi ultimi anni.
Ospiti di talk-show, opinionisti, editorialisti condannano la fortuna in calo della Francia e persino la sconfitta della nazionale di rugby di quest'anno ai mondiali è stata considerata come un sintomo di decadenza nazionale.
Il governo francese spende l'1,5% del PIL per sostenere un'ampia gamma di attività culturali e ricreative (per converso la Germania stanzia lo 0,7% e il Regno Unito lo 0,5%). I sussidi alla cultura riguardano persino anticipi o prestiti versati ai produttori cinematografici, ma le statistiche riportano che la maggior parte di quel denaro non viene quasi mai restituita in toto. Comunque i guadagni provenienti da un 11% di tasse sul cinema vengono versati nella cassa sussidi. Canal Plus, la più importante pay-tv, deve spendere il 20% dei suoi proventi per acquistare film francesi. Per legge, il 40% degli spettacoli televisivi o musicali, deve essere francese. I canali TV fanno in modo che le produzioni francesi non siano quasi mai relegate nella fascia notturna. Il governo prevede esenzioni speciali per i lavoratori autonomi nel campo dell'arte. Pittori e scultori possono ottenere con i sussidi il loro atelier. Lo Stato inoltre finanzia un progetto del Ministero degli Esteri per mandare all'estero gruppi di artisti, insieme ai loro lavori, e sostiene 148 gruppi culturali, 26 centri di ricerca e 176 scavi archeologici all'estero.
Ma, nonostante tutti questi vantaggi, perché l'offerta culturale francese all'estero è in crisi? Un problema è rappresentato dai prodotti, la maggior parte dei quali è solo in francese, oggi solo la dodicesima lingua più parlata al mondo. Perdipiù, i maggiori organi di critica e pubblicità hanno sede in America o in Gran Bretagna. Negli anni '40 e '50 tutti sapevano che dovevano andare in Francia per essere notati, ora sanno che bisogna andare a New York. Un altro problema, secondo i detrattori, è rappresentato dai sussidi, i quali favorirebbero la qualità mediocre dei prodotti culturali, oppure anche dal protezionismo culturale francese, che diminuirebbe il loro appeal. Con un mercato caratterizzato dal protezionismo e dalla barriera linguistica, i produttori francesi possono fare affari a casa loro senza preoccuparsi di vendere all'estero. Solo 1 film francese su 3 viene esportato in Germania.
Tuttavia gli artisti francesi si stanno finalmente rendendo conto di non essere gli unici a giocare e che devono imparare a guardare oltre il pianerottolo di casa loro.
La carta vincente della Francia dovrebbe essere questa: spesso ciò che manca ancora a noi italiani e ad altri è quella sorprendente vivacità della letteratuta e della cinematografia francese.
Le minoranze arrabbiate ed ambiziose di Francia stanno facendo arte e cultura. La Francia è diventata un bazar multietnico di arte, musica e letteratura provenienti dalle banlieues e dagli angoli più disparati del mondo non bianco. Africani, asiatici, latinoamericani, con la loro musica, si stanno forse ritagliando più spazio in Francia che altrove. Film dall'Afganistan, dall'Argenitina, dall'Ungheria o da altri angoli del pianeta, iniziano a riempire i cinema. Autori di varie nazioni vengono tradotti in francese e, inevitabilmente, influenzeranno la prossima generazione di scrittori francesi. Nonostante le barriere protezionistiche, la Francia è un paradiso di conoscitori di culture straniere.
E cosa rende una nazione grande se non nuova energia infusa dai margini?
Jean-Paul Sartre, il gigante della letteratura francese post-bellica scrisse nel 1946 al governo statunitense per ringraziare l'America di aver prodotto Hemingway, Faulkner e altri scrittori che stavano allora influenzando la narrativa francese. "Vi restituiremo quelle tecniche che ci avete prestato", promise, "perché questo scambio incessante che fa riscoprire in altre nazioni ciò che una nazione ha inventato e poi 'rigettato' forse vi farà riscoprire la giovinezza eterna del 'vecchio' Faulkner in questi nuovi libri francesi."
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Ieri sera sono stato al cinema a vedere "Il mio amico giardiniere", in quanto mi piace molto Daniel Auteuil come attore. Ecco in breve il film:
Un pittore affermato, stanco di vivere a Parigi e prossimo al divorzio, decide di trasferirsi in campagna nella vecchia casa di famiglia, dove egli aveva trascorso la sua infanzia e la sua giovinezza. L'abitazione e il terreno sono però in grave stato di incuria e per questo il pittore, non avendo voglia di occuparsene, decide di cercare un aiuto. La scelta cade direttamente sul primo candidato, un ex-ferroviere in pensione, che egli subito scopre esser stato suo compagno di scuola. Le conversazioni e i giorni trascorsi con il suo amico giardiniere aiuteranno il pittore a ritrovare un mondo che credeva perduto per sempre. Nasce un grande affiatamento, fatto di ricordi e discussioni su due visioni opposte del mondo, quella urbana e sofisticata e quella naif del campagnard incolto ma sincero. Jean Becker mette in scena senza pretese una semplice storia di amicizia. Il film mette in scena il confronto tra la campagna delle cose semplici ma vere e una Parigi caricaturale fatta di traffico e vernissage dove si parla giusto per mettersi in mostra. Becker fa un'elegia delle cose concrete.

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