sabato 21 luglio 2007

Voglia di mare



« Ho conosciuto il mare meditando su una goccia di rugiada. »
(Kahlil Gibran)
Ebbene sì, questo fine settimana avrei dovuto essere al mare a crogiolarmi su una sdraio. Invece sono in un mare di sudore qui nel mio paese che segna l'inizio della Bassa, con temperature sempre più sahariane ogni giorno che passa.
A proposito, riflettevo su quale articolo è più corretto usare con il sintagma "fine settimana". Da grande curioso come sono, sono andato a sbarlocciare sul sito della nobile Accademia della Crusca, la quale riporta: «Quanto a la fine settimana o il fine settimana, sintagma anch'esso ambigenere, l'uso sembra decisamente inclinare verso il genere maschile, forse per l'attrazione esercitata da il (lo) week end da cui deriva; col genere femminile si tende per lo più ad usare la fine della settimana.»
I giorni passano e la mia voglia di fuga al mare aumenta, la voglia di recarmi ai miei lidi di sempre, nelle Marche. La costa si estende per ben 180 km dal promontorio di Gabicce Mare alla foce del fiume Tronto. Il litorale marchigiano è costituito da un alternarsi di bellissime spiagge di ghiaia, di scoglio e di sabbia. A sud del Monte Conero vi sono spiagge ampie e pianeggianti fino a raggiungere il verde delle pinete di Porto Recanati, Porto Potenza Picena e Civitanova Marche, grosso centro che possiede due porti, uno turistico e l'altro peschereccio. Non posso non citare la "mia" verde riviera picena, che si estende tra Porto Sant'Elpidio, Lido di Fermo, Porto San Giorgio e Pedaso, e l'esotica "riviera delle palme" tra Cupramarittima, Grottammare e San Benedetto del Tronto, con le sue 7000 palme che crescono anche sulla spiaggia finissima e bianca che degrada nel mare caratterizzato da bassi fondali.
A proposito, ma voi lo sapevate che esistono anche "mari extraterrestri"? La Luna è caratterizzata da varie configurazioni morfologiche chiamate mari. Sono stati chiamati mari perché il colore più scuro faceva presupporre la presenza di acqua, nonostante si tratti in verità di pianure basaltiche. Sulla Luna è presente dell'acqua sotto forma di ghiaccio; l'origine di tale ghiaccio dovrebbe essere dovuto a comete che si sono scontrate con il nostro satellite in posizione poco o per nulla irradiate dai raggi del Sole. Acqua liquida potrebbe essere presente sulla superficie o nel sottosuolo di molte lune, tra cui ricordiamo principalmente Europa, una delle lune di Giove. Si pensa che Europa ospiti al suo interno un vero e proprio oceano sotto la superficie ghiacciata, circondante tutto il satellite. Idrocarburi liquidi si pensa siano presenti sulla superficie di Titano, anche se sarebbe più accurato descriverli come "laghi" al posto di "mari".
Ragazzi, buon weekend e buon mare.

domenica 15 luglio 2007

Mondiali antirazzisti




Si concludono oggi a Casalecchio di Reno (Bo) i Mondiali Antirazzisti (http://www.mondialiantirazzisti.org/mondiali/index.php?option=com_frontpage&Itemid=1&lang=it). Tante le squadre da tutto il mondo che hanno partecipato anche quest'anno all'evento, iniziato l'11 luglio, fra le quali ne spicca una alla quale ha dato un po' di risalto un giornale locale. Si tratta della FC Stolac Bosnia United, che aveva già partecipato al "Luxembourg Against Racism", in seguito ad un progetto che aveva preso corpo a Stolac, in Bosnia, per tentare di unire le due comunità della Bosnia, quella musulmana e quella cattolica, in una situazione di perdurante conflitto post-bellico. La squadra si è presentata a Casalecchio come un team "misto" di cattolici croati e musulmani bosniaci, grazie ad un ticket vinto al torneo amichevole sopracitato in Lussemburgo.


In un'epoca di falsificazioni concettuali e linguistiche, nonché di balorde storture morali propagate dai mezzi di comunicazione con tanta aberrante costanza, chiacchiere balorde che rendono ancora lungo ed arduo il cammino verso una sana e pacifica integrazione delle comunità di stranieri, volevo ricordare, parafrasando le parole del giornalista Giuseppe Fasso, autore del libro "Le parole che escludono. Voci per un dizionario", pubblicato da Arcireport, come la parola fondamentalismo, in origine designasse una corrente teologica nata e sviluppatasi alla fine dell'Ottocento nel protestantesimo in opposizione ad una teologia più liberale e modernista (andatevi a sfogliare un dizionario delle religioni), e solo negli anni Sessanta del Novecento questo termine è stato esteso a fenomeni analoghi presenti in altre confessioni religiose: ebraismo, cattolicesimo, islam.


Non esiste solo il fondamentalismo islamico, e l'Islam non è solo fondamentalista. Via i tormentoni e le meschinità concettuali di politici italiani e giornalisti.


Nondimeno il fondamentalismo esiste, e le sue caratteristiche peculiari sono: la convinzione che esista una verità assoluta e valevole nei rapporti uomo/Dio e uomo/società, il fatto di inserire le norme dei libri sacri a forme di azione sociale e politica, il trasferimento di linguaggi e concetti dal campo religioso a quello politico, la capacità di mobilitazione collettiva di un leader che, richiamandosi alla verità assoluta, movimenta una massa che si ritiene in pericolo, minacciata da un nemico che si tende a far coincidere col diavolo, il male (ne consegue la classica, canonica, dicotomica lotta del Bene contro il Male). Tutti questi punti possiamo quotidianamente riscontrarli su giornali e tv. A qualcuno di voi non è venuta in mente (oltre ad Al Qaeda e i talebani) una forma di presunto fondamentalismo atlantico?

una ragazza ai Mondiali Antirazzisti

sabato 14 luglio 2007

Un esempio di imprenditoria sociale

L'americano Rick Aubry è presidente del Rubicon Programs, un'impresa attiva nel sociale che aiuta i senzatetto fornendo loro alloggi, istruzione ed un impiego in una delle aziende del gruppo Rubicon, che comprende Rubicon Landscape e Rubicon Bakery, che distribuisce pane a 2000 supermercati negli Stati Uniti.
Penso che affinché questo progetto non rimanga una goccia nel mare, potrebbe essere esportato verso altri paesi del globo.

giovedì 12 luglio 2007

TOLLERANZA E RISPETTO


TOLLERANZA
Dato che non penseremo mai nello stesso modo e vedremo la verità per frammenti e da diversi angoli di visuale, la regola della nostra condotta è la tolleranza reciproca. La coscienza non è la stessa per tutti. Quindi, mentre essa rappresenta una buona guida per la condotta individuale, l'imposizione di questa condotta a tutti sarebbe un'insopportaibile interferenza nella libertà di coscienza di ognuno.
(Mahatma Gandhi)
RISPETTO
Col termine rispetto si intende un sentimento di riguardo nei confronti di persona ritenuta degna. Per essere degni di rispetto, bisogna essere persone normali e per bene, non c’è bisogno di eccellere in qualche campo, basta non essere maleducati e opprimenti. Rispetto, stima e dignità non sono la stessa cosa. Questi termini vanno considerati in maniera diversa. Noi abbiamo l’obbligo di imparare a rispettare chiunque, ma la stessa cosa non vale per la stima, che bisogna conquistarsela in base agli aspetti positivi, perché essa consente di dare un valore ad una persona. Se una persona produce qualcosa di buono è stimabile ma, a prescindere da quello che fa nella vita, è da rispettare almeno fin quando non ci danneggia. Il rispetto dovrebbe essere biunivoco cioè due persone che si incontrano si dovrebbero rispettare vicendevolmente. Infatti, il termine rispetto, sul vocabolario etimologico della lingua italiana, deriva dal latino e significa, "aver considerazione di se stessi (prima) e degli altri (subito dopo); questo rientra in un concetto di egoismo positivo, perché molte volte noi impariamo ad osservare delle regole che regolano il rapporto con gli altri ma, spesso, ci dimentichiamo di noi. Il termine dignità connota nobiltà d’animo, che induce a rifuggire da ogni bassezza per riuscire a darsi un valore. Esiste fondamentalmente un tipo di rispetto che presenta, però, tre sfaccettature che inquadrano i momenti diversi della comunicazione: il rispetto verso se stessi, il rispetto verso un altro individuo e il rispetto nei confronti della collettività. All’interno di questo trittico, si configurano tutte le possibili forme di relazione: famiglia, amicizia, lavoro, etc. Si parla di rispetto e di Egoismo Positivo: attraverso l’egoismo positivo ci si rispetta cioè, il rispetto è conseguenza dell’egoismo positivo. Quest’ultimo è il motore che determina la necessità di rispettare se stessi e gli altri. Perché se io ho chiaro il principio che ho necessità di tutelare me stesso attraverso anche il trattar bene gli altri, creo le condizioni di "crescita protetta", al riparo dagli attacchi altrui (tranne di quelli che, deliberatamente, agiscono per distruggere: alcune multinazionali, terroristi, Anarchici, integralisti, etc.).

martedì 10 luglio 2007

Kernstok, Lukacs e le vie divise

Karoly Kernstok (1873 - 1940), pittore ungherese, affronta le sue primissime opere con stile naturalista sfruttando temi sociali (Agitatore), per poi passare ad un periodo impressionista (Donna che coglie prugne) ed approdare, durante un soggiorno a Parigi, alle tendenze decorative del post-impressionismo (Nel giardino). Tornato in Ungheria dalla Francia organizza un movimento di pittori noto col nome di "Gruppo degli Otto" e svolge un ruolo importante nella diffusione delle nuove tendenze della pittura moderna presso il mondo intellettuale progressista. Il suo stile, nel quale è essenziale il disegno, è caratterizzato da una particolare accentuazione dei contorni (Cavalieri in riva all'acqua). Intorno al 1913 si riaccosta alla natura, con paesaggi dai toni azzurri. Negli ultimi anni emerse l'espressionismo latente nelle sue opere precedenti.
Il postimpressionismo è un termine convenzionale usato per indicare quel periodo della pittura compreso tra il 1886 (data dell'ultima esposizione del gruppo dei pittori impressionisti) e la nascita del Cubismo. La pittura del postimpressionismo nasce come reazione all'impressionismo, caratterizzata dall'esigenza di superare ed approfondire il carattere provvisorio della sua visione. Dall'impressionismo deriva l'analisi della luce e la ricchezza della gamma cromatica, respingendo invece quanto c'era di labile e trascorrente nella visione. Dal movimento postimpressionista si dipartono: puntinismo, simbolismo, surrealismo, nabis, art nouveau ed espressionismo.
Per ammirare le tele di Kernstok: http://www.hung-art.hu/index-en.html
"Le vie divise" delle quali parla il critico ungherese Gyorgy Lukacs nel testo di una conferenza in occasione della prima mostra di Kernstok (1910), raccolto nel libro "Cultura estetica", sono appunto i due percorsi distinti dell'impressionismo e del postimpressionismo.

sabato 7 luglio 2007

La lingua imperiale



Apprendere una lingua diversa dalla propria significa umiliarsi. Quando si impara a parlare un'altra lingua, la cosa più dura da accettare è l'umiliazione psicologica che ciò comporta: significa infatti rendersi conto di aver lasciato una posizione dalla quale si dominava e nella quale ci si sentiva a proprio agio - la propria lingua madre, modellata e forgiata in modo tale da adattarsi perfettamente alla propria vita e al proprio carattere - e dover cercare di adattare i propri pensieri, desideri, spiegazioni e rapporti interpersonali a un universo diverso di parole e grammatica, di sfumature linguistiche e di ritmo. Significa provare imbarazzo e disagio allorché ci si rende conto che per l'interlocutore di lingua madre ciò che si sta cercando di dire nella sua lingua ci fa sembrare bambini o idioti. Se l'interlocutore di lingua madre è gentile, capirà quello che vogliamo dire e cercherà di aiutarci. Ma contare sulla cortesia altrui significa ancora una volta umiliarsi.


(John Lloyd)




Globish, neologismo nato dalla contrazione delle parole "global" ed "English" per riferirsi all'inglese internazionale.



L'inglese si è propagato con l'impero britannico. Le ex colonie americane fecero sì che quello che prendesse il posto dell'impero britannico come economia più potente del mondo, gli Stati Uniti, rimanesse di lingua inglese. Nel XIX e XX secolo gli Stati Uniti assorbirono italiani, scandinavi, russi, tedeschi, ebrei, polacchi, ucraini, cechi, ungheresi, mentre tuttora assorbono messicani, portoricani, pachistani, indiani ed altre generazioni di africani. L'inglese che questi nuovi americani impararono e imparano venne e tutt'ora viene successivamente riesportato attraverso frasi e parole che si estendono alle reti familiari di questi immigrati.

Gli anglofoni sono notoriamente monoglotti. Credono di essere incapaci di imparare un'altra lingua, oppure lo ritengono superfluo. In effetti questo loro atteggiamento è in realtà arroganza e rifiuto a "lasciarsi umiliare", arroganza e superbia derivanti da secoli di planetaria gestione del potere. Abituati così tanto agli stranieri che si arrabattano ad imparare a parlare inglese, non provano neppure a fare altrettanto con le lingue straniere. Per ciò che riguarda il turismo di massa si ritiene che la lingua inglese sia sufficiente. Le lingue straniere non sono una parte rilevante nell'insegnamento nelle scuole americane e britanniche.

Il potere si è sempre lasciato nella propria scia anche la propria lingua. Vedi la potenza spagnola che ha portato la lingua nell'America Latina e quella francese che ha fatto altrettanto in Africa settentrionale e occidentale.

MA una conseguenza del potere anglofono è positiva. Propagatosi per gli scambi commerciali, l'inglese continua a diffondersi attraverso Internet e si pone come strumento attraverso il quale la Torre di Babele può comunicare. Ovviamente questo inglese internazionale è spesso alquanto approssimativo, la grammatica è distorta e la pronuncia varia moltissimo. Ma lo scopo primario di una lingua è di farsi capire e quindi il modo universale di farsi capire è l'inglese.

Il globish subentrerà prima o poi ad altre lingue? Non è sicuro. Il cinese, l'hindi, il giapponese e lo spagnolo sono lingue troppo profondamente radicate nella vita di centinaia di milioni di persone per poter verosimilmente scomparire.

D'altro canto però altre lingue e dialetti scompaiono. Faccio un esempio legato al mio territorio: il bolognese oggi continua ad essere parlato nella sua forma pura praticamente solo dagli anziani e come numero di parlanti siamo ai minimi storici in assoluto. Lo stesso vale per altri paesi e un po' ovunque.

L'istruzione del mondo globalizzato e i mezzi di comunicazione annientano ed esauriscono le forme antiche del linguaggio e le nuove generazioni non capiscono perché dovrebbero imparare la lingua dei loro antenati.

Non resta che sperare che il globish possa coesistere con la Babele di lingue di cui le varie culture del mondo sono portatrici, e la cui scomparsa le depauperebbe oltre ogni misura.


Come per il latino, negli anni a venire tutti parleranno inglese ugualmente male ma si riuscirà lo stesso a capirsi.


(Anthony Burgess)


La versione semplificata dell'inglese creata negli anni '20 del Novecento da Charles Kay Ogden conta in tutto 850 parole. Si afferma dopo il secondo conflitto mondiale e può essere imparata in appena 6 settimane. Oggi il mondo parla il globish, un inglese globale e semplificato che conta 1500 lemmi: una lingua, secondo Jean Paul Nerriere, che suona come l'inglese ma non lo è. E' l'idioma universale del III millennio.


Per un suo fenomeno evolutivo interno l'inglese ha fatto diventare col passare dei secoli le proprie parole monosillabiche.


Otto Jespersen
Il linguista danese Otto Jespersen, uno dei massimi conoscitori della lingua inglese, osservò che delle 500 parole più ricorrenti dell'inglese circa 400 sono monosillabiche e solo le restanti sono bi- o trisillabiche. Osservò inoltre che l'inglese ha un meccanismo grammaticale "silenzioso", cioè ridotto all'osso, quasi inavvertibile.
Non si conoscono al mondo altre lingue che abbiano avuto un processo di evoluzione ugualmente veloce e drastico. L'inglese è una lingua che si va "cinesizzando", cioè diventa somigliante al cinese: parole brevi e in posizioni stabili nella frase.
L'inglese ha assorbito alle sua origini una quantità di elementi di origine latina e francese che costituiscono la parte polisillabica del suo vocabolario di oltre 610.000 lemmi.
L'inglese si è avvalso di spinte eccezionali che la storia gli ha fornito senza risparmio, prima potendo contare su un impero sterminato che andava dall'India all'Australia agli Stati Uniti; è stato al centro di conflitti che lo hanno diffuso in Europa ed Oriente. Oggi, attraverso la sua variante più nota ed accreditata, quella americana, vola da più di 50 anni sulle ali di una cultura di massa diffusa in primo luogo da Hollywood e alla quale nulla è stato capace di opporsi: è divertimento, vita quotidiana, finanza, scienza, banca, viaggi, informatica...
L'inglese è una delle lingue più infiltranti del pianeta. L'italiano ha ceduto le armi senza difendersi: a causa della scarsa affezione dei suoi parlanti ha rinunciato, anche col supporto dei mezzi di comunicazione, a parole di tradizione secolare a vantaggio di futili e antistorici equivalenti inglesi.
L'inglese è il latino del Duemila, con una differenza però. Ad un certo punto il latino perse il sostegno di una patria che potesse controllarne la legittimità. Questo favorì la sua evoluzione nelle lingue romanze e continuò ad essere parlato e scritto solo tra gli eruditi, ma come lingua artificiale e senza terra. L'inglese invece ha più di una madrepatria che assicura che si conservi in una certa misura omogeneo in tutto il mondo.
PER APPROFONDIMENTI:

mercoledì 4 luglio 2007

Il business dietro al riciclo



In Europa arriva la proposta dell’economista elvetico-americano Gunter Paoli della costruzione di bioraffinerie: fabbriche che, mutuando le tecniche dell’industria petrolifera, dovrebbero recuperare tutti gli oggetti dismessi.
Il sogno ecologista degli oggetti che nascono dalle ceneri di altri oggetti dismessi e recuperati porta con sé, oltre alla volontà di ridurre la produzione di gas serra, anche crescenti interessi economici, i quali crescono all’aumentare del costo delle materie prime e al diminuire del petrolio.
Vediamo alcuni esempi e alcune cifre, offerti da Conai (il Consorzio Nazionale Imballaggi):

- Per ogni tonnellata di acciaio riciclata si tagliano 1,5 tonnellate di CO2. Con 2,6 milioni di scatolette d’acciaio da 50 grammi si può realizzare un chilometro di binari ferroviari;
- Per ogni tonnellata di plastica riciclata si tagliano 0,5 tonnellate di CO2. Con 20 bottiglie di plastica si fa un maglione in pile. Le bottiglie di plastica sono prodotte con un materiale chiamato polietilene tereftalato (PET). Nel territorio dell’UE, attualmente vengono riciclate 100.000 tonnellate di PET;
- Per ogni tonnellata di alluminio riutilizzato se ne risparmiano 9 di CO2. Da 37 lattine si ricava una caffettiera;
- Legno e carta: per ogni tonnellata di legno riciclata si taglia una tonnellata di CO2; da 4 pallet si ricava una scrivania; il 90% dei quotidiani viene stampato oggi su carta riciclata e per ogni tonnellata di carta si tagliano 0,6 tonnellate di CO2;
- Per ogni tonnellata di vetro recuperata si tagliano 0,3 tonnellate di CO2.

Berlino è la capitale europea del riciclo: il 90% dei rifiuti viene riutilizzato. La raccolta differenziata a Berlino è una realtà consolidata ormai da più di dieci anni e si utilizzano sette diversi circuiti per i vari materiali. Nove tedeschi su dieci separano i rifiuti e due su tre pensano sia scorretto non usare in modo appropriato i contenitori per la raccolta differenziata.
Per quanto concerne altri esempi dal mondo posso citare l’esempio del Brasile socialista di Lula e dell’India. Nel primo paese, precisamente nella città di Curitiba, nel sud, esiste un progetto di recupero equo e solidale a vantaggio degli strati più poveri della popolazione: due terzi dei rifiuti provenienti da carta, metallo e vetro vengono recuperati e venduti. Gli impianti di smistamento, realizzati con materiali di recupero, danno lavoro a disabili ed emarginati. Dei furgoncini attraversano le favelas, dove i camion dei rifiuti non si attentano ad entrare, e, in cambio dei rifiuti raccolti, consegnano dei ticket che serviranno poi alla povera gente per ottenere cibi derivanti dai surplus, acquistati a basso prezzo dall’amministrazione locale; nel secondo paese, l’India, Nuova Delhi è diventata la capitale mondiale del riciclo di apparecchiature elettroniche dismesse (computer, televisori, telefoni cellulari): ogni anno in città l’industria del riciclo raccoglie dalle 10.000 alle 14.000 tonnellate e dà lavoro a 15.000 persone.
E in Italia? Per il momento l’unico caso di una certa rilevanza è quello di Milano: la città, dopo essere riuscita ad uscire dall’emergenza rifiuti che era scoppiata negli anni Novanta, ha visto ora decollare la raccolta differenziata che ha raggiunto quota 30%.

Vediamo ora alcuni esempi di percorsi che una bottiglia di plastica usata può intraprendere:

$ Può essere gettata in una discarica coperta di terra. La Svezia è l’unico paese di rilievo dove queste discariche sono state riconvertite, precisamente per la realizzazione di piste da sci;
$ Può essere riportata al supermercato (come si fa nei Paesi Scandinavi), dove i vuoti vengono rimborsati o si ottiene una ricevuta per scalare dall’acquisto successivo il costo della cauzione;
$ Può essere venduta: in Germania esistono centri che si occupano di riciclare la plastica (ma anche il vetro e l’alluminio) e pagano un euro e mezzo al chilo le bottiglie usate.
Dopo essere messa in un cassonetto per la raccolta differenziata:
$ Può essere portata in un inceneritore: il materiale ottenuto può essere riutilizzato per la pavimentazione delle strade. Gli inceneritori sono provvisti di appositi impianti di filtraggio prima di rilasciare i gas nell’atmosfera;
$ Può essere trasformata in energia elettrica da un termovalorizzatore: il calore prodotto dalla plastica bruciata viene riconvertito in vapore per il riscaldamento e in elettricità per le centrali elettriche;
$ Può essere portata ad un centro di smistamento, dove le bottiglie vengono divise in base al colore e imballate. Dopodichè le bottiglie possono essere imbarcate alla volta della Cina (che compra rifiuti da riciclare non solo dall’Europa, ma anche dagli Stati Uniti), oppure trasformate in patria per farne felpe in pile, peluche, grucce per abiti, moquette o nuove bottiglie addirittura.
Sempre per quanto riguarda la lotta al riscaldamento globale esiste un altro progetto: l’impianto di nuovi alberi.
L’azienda britannica Treeflights.com (tipico esempio di fund-raising) è una delle beneficiarie di una crescente sottoindustria ambientale conosciuta con il termine inglese di “carbon offsetting” (“compensazione dell’anidride carbonica”). L’azienda calcola la quantità di gas serra prodotti da un individuo o un’azienda nell’usufruire di voli aerei, nell’impiego di veicoli, nel riscaldare o illuminare un’abitazione o degli uffici. I suoi clienti quindi la pagano volontariamente per investire in progetti di riduzione dei gas serra.
Gli americani producono ogni anno in media 20 tonnellate di CO2 a testa, gli inglesi 10. La Germania vorrebbe sfruttare questa soluzione per donare fondi a scuole ed ospedali in Eritrea per passare dall’elettricità generata dai combustibili fossili ai pannelli solari.
Ma mentre imprese come ad esempio la Dell intendono continuare a sponsorizzare le iniziative di riforestazione, ce ne sono tante altre che continuano ad ignorare questa chance.
A complicare questo progetto ci sono i dati alla mano degli scienziati, secondo i quali ci vuole un ettaro con ben 1.000 alberi piantati per assorbire 10 tonnellate all’anno di CO2, senza contare possibili malattie che potrebbero colpire le piante, oppure incendi. Secondo i detrattori, capitanati da molti gruppi verdi, la piantatura degli alberi è una mera distrazione. In un rapporto stilato congiuntamente di recente da Friends of Earth, Greenpeace e WWF, sarebbe molto meglio attirare l’attenzione dei consumatori su progetti a supporto della transizione alla produzione di energia basata su combustibili non fossili. Sempre secondo questo rapporto, gli offsetting di cui sopra potrebbero essere visti dai governi, dalle imprese e dai singoli come un modo semplice per continuare ad inquinare senza cambiare i loro comportamenti e le loro abitudini. Pertanto, se l’offsetting dovesse iniziare a rivestire un ruolo per indurre l’umanità a smettere di far surriscaldare il pianeta, rimarrebbe comunque solo una piccola tessera nel mosaico della lotta alle emissioni.

martedì 3 luglio 2007

Lo spirito del poeta, dopo aver tanto indagato, sondato e speculato intorno ad alcuni interrogativi del quotidiano, non essendo approdato ad una soluzione certa e duratura si fece un paio d'ali per la dipartita, pronto e deciso a lasciare questa realtà, senza fretta di decidere la data del possibile ritorno. Al crepuscolo, prima di volare via, si disse: "Voglio per l'ultima volta fissare quelle belle rose dalle dolci tinte pastello e sentire il loro profumo, così serberò per il viaggio almeno un buon ricordo di questo luogo e di questa esperienza". Si avvicinò, chiudendo gli occhi e concentrandosi, ma le rose avevano ormai perduto anche il loro inebriante odore...

La notte è scesa con i suoi silenzi e le sue inquietudini.

Le sorti future del capitalismo globale


I cambiamenti profondi dell’economia mondiale negli ultimi anni, l’incredibile sviluppo industriale della Cina, la crescita di nuove potenze commerciali come India e Brasile e il timore dei Paesi industrializzati di perdere posizioni di privilegio considerate acquisite, hanno convinto molti Stati, dopo il fallito vertice di Doha nel 2001, ad assumere una posizione più marcatamente protezionista. Questo nuovo contesto commerciale mondiale continua a lasciare ai margini proprio quei Paesi più deboli e meno sviluppati che avrebbero dovuto essere i maggiori beneficiari del round.
Il ciclo di negoziazioni di Doha avrebbe dovuto dare per la prima volta enfasi allo sviluppo dei Paesi più arretrati del mondo e si sarebbe dovuto occupare di questioni chiave quali la circolazione dei servizi, le sovvenzioni ai prodotti agricoli, gli aspetti commerciali della proprietà intellettuale e le agevolazioni degli scambi commerciali.
Gli Stati Uniti hanno difeso strenuamente le enormi sovvenzioni garantite agli agricoltori americani e in particolar modo ai produttori di cotone del Texas. In quattro anni (dal 1998 al 2002) la potente lobby del cotone ha ricevuto sovvenzioni per circa 15 miliardi di dollari. Questa imponente pioggia di denaro favorisce una parte minima dell’economia degli Stati Uniti, ma produce effetti estremamente negativi in altre aree del mondo (in particolare l’Africa sub-sahariana) in cui il cotone rappresenta una delle principali fonti di reddito.
I costi del mancato accordo sono ingenti. Questo fallimento rappresenta un serio colpo alla credibilità del sistema commerciale internazionale e della WTO. In ogni caso, quando parliamo del Doha Round, parliamo di proposte di liberalizzazioni spinte ed apertura dei mercati incontrollata. E' stato l'accordo agricolo che ha scatenato tutto. E' la presunzione di poter gestire i destini della globalizzazione economica e commerciale riunendo i pochi che contano, magari coinvolgendo anche qualche economia emergente, e facendoli decidere alle spalle dei molti non invitati.
Lo scenario internazionale è cambiato, anche se Unione Europea e Stati Uniti sembra non se ne rendano conto, e le cosiddette economie emergenti si dimostrano portatrici di interessi, capaci di pressione politica e intenzionate a far valere il loro peso economico.
La WTO ha segnato il passo, facendo chiudere ancor prima che aprisse i battenti il Consiglio Generale: inadeguatezza nel capire i cambiamenti reali in atto, e di comprendere l'insostenibilità di un cammino di liberalizzazioni a tappe forzate, in un contesto plurilaterale, dove pochi paesi membri si ritrovano per decidere alle spalle dei rimanenti 140 paesi.
Lo stesso Commissario per il Commercio dell'Unione Europea Peter Mandelson, intervistato al termine del World Economic Forum di Davos tenutosi a gennaio, ha affermato che c'è l'assoluta necessità di trovare nel brevissimo termine un nuovo accordo commerciale mondiale, proprio perché il sistema economico mondiale si sta evolvendo ad un ritmo elevato, e il WTO e la macchina del Doha Round non sono in grado di stare al passo.

Ma facciamo un passo indietro ed iniziamo a parlare dell’ultima edizione del World Economic Forum, che si tiene ogni anno a Davos, in Svizzera. Una trentina di ministri del Commercio, inclusa la statunitense Susan Schwab, oltre al commissario europeo, Peter Mandelson, quest’anno si sono ritrovati a gennaio sulle montagne innevate della Svizzera, in uno scenario che – pur non avendo la stessa atmosfera grottesca – ricordava vagamente la tipica ambientazione di un romanzo dello scrittore svizzero-tedesco Friedrich Dürrenmatt. Tra un brindisi con champagne, qualche chiacchieratina sui comodi canapé d’albergo e una o due brevi sciatine, hanno trovato anche il tempo di riunirsi per discutere della “Equazione dello spostamento dei poteri”.
In un clima in cui appare sempre più evanescente e contenuta la presenza americana e gli aspetti demografici si presentano come il destino del pianeta, appare chiaro che con la crescita costante della popolazione asiatica ed africana, ed una stagnazione delle nascite nella vecchia Europa e in Giappone, si potrebbero verificare degli ampi (ed ormai non più tanto imprevedibili) spostamenti di potere politico-economico.
L’India quest’anno è stata presente con quella sicurezza di sé che nasce dal fatto di sapere che il suo mercato nazionale sta continuando a crescere.
Il cancelliere tedesco Angela Merkel ha parlato (finalmente) della fine della visione “Eurocentrica” del mondo, anche se il resto dei convenuti tutt’ora ignora i possibili modi con cui l’influenza del Vecchio Continente possa iniziare a restringersi negli anni a venire.
Tony Blair, nella sua ultima apparizione a Davos come capo di un governo, ha affermato che “il mondo è come se si ritrovasse oggigiorno in un clichè di perpetua conversazione globale”. La realtà dei fatti è pertanto la seguente: nonostante le grandi sfide all’orizzonte, tutti quei delegati e quei premi Nobel per l’economia che vengono per assistere alle sedute, tutto si riduce alla fine ad una gran matassa di belle parole e ad espressioni di buone intenzioni e progetti che al di là della loro formulazione teorica non trovano un’applicazione concreta.

Timothy Garton Ash, storico e saggista britannico, ci invita a riflettere sulle sorti del capitalismo globale. Ovunque il capitalismo globale trionfa, mettendo spesso aspramente in discussione la democrazia e la libertà. Nonostante la supremazia in declino dell’Occidente, tutti continuano a praticare il capitalismo, non solo gli americani e gli europei, ma anche gli indiani, gli oligarchi russi, i ricchissimi emiri arabi, persino i comunisti cinesi.
Ma quali sono oggi le alternative ideologiche al capitalismo? Il “socialismo del ventunesimo secolo” del venezuelano Chavez è un fenomeno puramente locale, per giunta praticato in uno Stato ricco di petrolio. La maggior parte dei no global e degli attivisti verdi sa mettere bene in luce i fallimenti del capitalismo globale, ma non è ancora stata in grado di proporre delle valide alternative.
Ma la mancanza di una qualsiasi chiara alternativa ideologica non significa necessariamente che il capitalismo globale sia del tutto al sicuro per gli anni a venire. La storia recente degli ultimi cento anni ci insegna che esso non è sempre un sistema in grado di auto-correggersi automaticamente. I mercati globali sono sempre più instabili e più di una volta si sono resi necessari notevoli interventi correttivi politici, fiscali e legali. Quanto più grande il capitalismo diventa, tanto più pesantemente può subire un crollo.
Non dimentichiamo le ineguaglianze. Il capitalismo globale continua a premiare in maniera iniqua i suoi protagonisti. Ci si chiede quali saranno le ripercussioni a livello politico del fatto che in Paesi in cui la stragrande maggioranza della popolazione è infinitamente povera vi è un numero ristretto di persone infinitamente ricche.
Se un buon numero di persone della classe media iniziasse a percepire che ci sta rimettendo nel processo di globalizzazione che rende schifosamente ricca una manciata di stakeholder che pratica l’outsourcing dei posti di lavoro in paesi dove la manodopera è a costo bassissimo, allora sì che si potrebbe scatenare, secondo Garton Ash, una reazione violenta. In Germania, ad esempio, gli operai del settore automobilistico negli ultimi anni hanno accettato di lavorare di più e più flessibilmente, senza ottenere reali aumenti salariali, solo per prevenire lo spostamento dei posti di lavoro in Slovacchia e altrove. E questo ha creato grande risentimento dal momento che i profitti delle imprese e gli stipendi dei dirigenti sono aumentati in maniera esponenziale.
Questo pianeta porta con sé l’insolubile problema che non siamo in grado di sostentare sei miliardi e mezzo di persone e far sì che possano vivere come i consumatori della classe media del Nord ricco. Nel volgere di pochi decenni avremo esaurito i combustili fossili, e ci avremo messo duecento anni per consumare ciò che ci ha impiegato 400 milioni di anni per formarsi ed accumularsi, senza dimenticare che avremo irrimediabilmente e irreversibilmente alterato l’equilibrio climatico terrestre. “Sostenibilità” secondo Garton Ash, sembra allora ancora l’unica e vera sfida o alternativa al capitalismo globale. Il capitalismo, nella sua necessità di alimentarsi, si imbatte costantemente nel problema di reperire i consumatori per i beni e gli articoli che continuano ad essere prodotti in ingenti quantità. Concludo parlando della famigerata “creazione dei desideri”. Il capitalismo non solo mette a disposizione dei consumatori quello che vogliono, ma arriva addirittura a creare in loro dei desideri, ad inculcare in loro falsi bisogni. Ed è questa logica dei desideri che si espandono a dismisura a divenire sempre più insostenibile su scala globale. Garton Ash ci chiede se siamo davvero pronti a fare a meno del superfluo e ad accontentarci di meno affinché altri abbiano di più. A noi la scelta.
17 marzo 2007

lunedì 2 luglio 2007

A volte basta poco per unire i ponti, dimenticare barriere e pregiudizi razziali e paure e diffidenze che da essi nascono; basta poco per uno scambio e per fare conoscenza interculturale: una palla e un torneo di calcio a 7 con 5 squadre per tempi di gioco di 15 minuti a partita. E' il Mundialito che si è tenuto ieri pomeriggio al Parco dei Giardini di Corticella, a Bologna, nell'ambito della 3 giorni del Giardino dei Popoli. Come dicevo 5 squadre, il torneo è stato organizzato da Arcimondo, associazione nata per favorire l’integrazione degli stranieri a Bologna (in particolare quella degli immigrati di seconda generazione), nella figura della presidente Malika Anedam (la quale racconta come a Bologna l’integrazione sia favorita dalla presenza dell’Università, che raccoglie e unisce giovani da tutta Italia e non solo. Arcimondo si offre come sostegno alle proposte che provengono dai giovani stranieri: così nascono le loro iniziative, senza programmi prestabiliti), in collaborazione con il Circolo ARCI Sputnik Tom di Castel Maggiore. I ragazzi dello Sputnik di Castel Maggiore, ragazzi rumeni, arabi, americani, e una squadra in rappresentativa degli Amici di Piazza Grande ONLUS (nata a Bologna nel 1993 su proposta di un gruppo di lavoro presente agli inizi degli anni '90 all’interno della CGIL, si occupa di varie forme di marginalità e promuove azioni per contrastare l'esclusione sociale e affermare i diritti dei senza tetto) hanno disputato il torneo.
Tutti diversi, tutti uguali, come si poteva leggere su una maglietta venduta in occasione della manifestazione.

http://www.bandieragialla.it/articolo/2784.html; http://www.piazzagrande.it/index.htm

domenica 1 luglio 2007

Desaparecidos della Cortina di Ferro

"Prima uccideremo tutti i sovversivi,
poi uccideremo i loro collaboratori,
dopo i loro simpatizzanti,
successivamente quelli che resteranno indifferenti
e alla fine i timidi."
Generale Ibérico Saint Jean, governatore di Buenos Aires, 1977)


Per chi non lo avesse ancora visto, il film "Le vite degli altri" (Germania, titolo originale Das Leben der anderen) è stato dichiarato pellicola dell'anno.
Berlino Est, 1984. Il capitano Gerd Wiesler è un abile e inflessibile agente della Stasi, la polizia di stato che spia e controlla la vita dei cittadini della DDR. Un idealista votato alla causa comunista, servita con diligente scrupolo. Dopo aver assistito alla pièce teatrale di Georg Dreyman, un noto drammaturgo dell'Est che si attiene alle linee del partito, gli viene ordinato di sorvegliarlo. Il ministro della cultura Bruno Hempf si è invaghito della compagna di Dreyman, l'attrice Christa-Maria Sieland, e vorrebbe trovare prove a carico dell'artista per avere campo libero. Ma l'intercettazione sortirà l'esito opposto, Wiesler entrerà nelle loro vite non per denunciarle ma per diventarne complice discreto. La trasformazione e la sensibilità dello scrittore lo toccheranno profondamente fino ad abiurare una fede incompatibile con l'amore, l'umanità e la compassione. Le vite degli altri ha il filo conduttore ideale nel personaggio dell'agente della Stasi, nascosto in uno scantinato a pochi isolati dall'appartamento della coppia protagonista. È lui, la spia, il singolare deus ex machina che non interviene dall'alto, come nella tragedia greca, ma opera dal basso, chiuso tra le pareti dell'ideologia abbattuta dalla bellezza dell'uomo e dalla sua arte. Personaggio dolente e civilissimo, ideologo del regime che in un momento imprecisato del suo incarico si trasforma in oppositore. Il "metodo" della sorveglianza diventa per lui fonte di disinganno e di sofferenza, perchè lo costringe a entrare nella vita degli altri, che si ingegnano per conservarsi vivi o per andare fino in fondo con le loro idee. La Stasi aveva un esercito di infiltrati, duecentomila collaboratori, il regista Donnersmarck ne ha scelto uno e lo ha drammatizzato.
"Desaparecidos", termine spagnolo che in italiano significa “spariti”. Come voi tutti ben ricorderete, si riferisce a persone che furono arrestate, per motivi politici, dalla polizia dei regimi militari argentino, cileno e di altri paesi dell'America Latina, e delle quali si persero in seguito le tracce. Gli arresti avvenivano senza testimoni, i capi di imputazione erano assai vaghi o palesemente pretestuosi. Di molti desaparecidos non si è saputo più nulla. Di molti invece si venne a sapere che erano stati detenuti in campi di concentramento, atrocemente torturati e infine barbaramente assassinati in segreto.
La Storia ci consegna questi dati: fra il 1976 e il 1983 in Argentina, sotto il regime militare, sono scomparsi più di 30.000 dissidenti o sospettati tali.
A metà del 1977 vennero effettuati i primi atti di denuncia, nacque l'organizzazione delle Madres de Plaza de Mayo, gli esiliati iniziarono a partecipare a fori internazionali per denunciare i crimini. Altre associazioni si andranno formando in seguito come Familiares nel 1977 e le Abuelas (nonne) nel 1978, le quali tutt’ora lottano per ritrovare i nipoti sottratti dal regime.
Molte donne partorirono mentre erano detenute; molte di esse furono uccise, e i loro figli furono illegalmente affidati in adozione a famiglie di militari o poliziotti. Dalla restaurazione della democrazia nel 1983, le istituzioni argentine si sono a lungo adoperate per ritrovare questi bambini e restituirli alle loro famiglie.
Faccio questo preambolo per dire che la "sparizione forzata" è un fenomeno che si è verificato non solo per i desaparecidos, ma anche in altri paesi e in altri momenti storici. Di recente è salita alla ribalta la notizia – riportata dal quotidiano La Repubblica – degli Orfani della Germania Est.
Migliaia di bambini della DDR sottratti ai genitori accusati o sospettati di dissidenza. Indotti a dimenticare i loro genitori, venivano rieducati a forza secondo il modello dell’Uomo nuovo del Socialismo. Queste migliaia di bambini furono affidate alle autorità per la cura degli orfani, ma orfani non erano. Semplicemente i loro genitori erano stati arrestati e condannati o per sospetti talvolta infondati, o per contatti con l’opposizione al regime, o semplicemente perché aspiravano a fuggire in Occidente.
Per questi bambini la destinazione era la Colonia socialista di Berlino-Königsheide, intitolata al pedagogo sovietico A. S. Makarenko. La colonia Makarenko, fondata nei primi anni di vita della DDR, oggi in stato di abbandono, constava di sette edifici in stile neoclassico, ed era l’orfanatrofio-modello del Socialismo alla tedesca, con una mensa, strutture speciali per i neonati ed un ospedale pediatrico. Lungo il viale si tenevano parate per indurre i bambini a crescere come Pionieri della gioventù socialista.
La politica delle Zwangsadoptionen (adozioni forzate), ideata da Margot Honecker, moglie di Erich Honecker e ministro ed esponente del vertice di partito, venne intrapresa a partire dal 1961, immediatamente dopo la costruzione del Muro.
Oggi, a distanza di quasi 18 anni dalla riunificazione, gli orfani della Germania Est, alcuni giovani, altri in età di pensione, si sono mobilitati per raccogliere informazioni sulle loro rispettive famiglie. Si sono costituiti in movimento e hanno creato un sito internet, si cercano e si scambiano informazioni. Ma è difficile per loro ricostruire l’infanzia perduta: molti documenti, tra cui i certificati di nascita, furono distrutti. A quelli che vennero adottati venne d’ufficio cambiato nome e cognome. I pochi dossier che la Stasi non riuscì a distruggere dopo la caduta del Muro non sono ancora stati resi pubblici.
Coloro che sapevano dell’arresto dei loro genitori ricordano con estrema tristezza l’infanzia vissuta nel terrore e nell’obbligo del silenzio.
E mentre questa gente sta lottando disperatamente per riprendersi la vita e gli affetti strappati dal sistema, non possiamo che prendere atto di una dolorosa pagina di storia che dopo tutti questi anni riemerge. Per la cronaca la signora Margot, “Miss Comitato Centrale” (come veniva chiamata all’epoca), vive oggi tranquilla ed indisturbata a Santiago del Cile, nella casa che il Partito Comunista Cileno regalò a Erich Honecker e a lei. La democratica e civile Germania riunificata ha rinunciato a processare la vedova Honecker e le versa ogni mese una generosa pensione pubblica. In fin dei conti suo marito, dittatore o no, era pur sempre un capo di Stato!