venerdì 8 dicembre 2006

Chi ha capito la globalizzazione alzi la mano


Le organizzazioni che si occupano di cooperazione allo sviluppo (tra cui Mani Tese, www.manitese.it) ribaltano con un nuovo studio a cui hanno partecipato ricercatori, scienziati ed altri esperti, il concetto di sud del mondo. La povertà e l'emarginazione entrano in modo sempre più preoccupante nei paesi del nord del mondo, mentre dal sud del mondo arrivano proposte per uno sviluppo economico più equo e sostenibile.

Chi vince e chi perde nell'economia della globalizzazione?

Si ribalta la rigida dicotomia che divide il pianeta in due blocchi, nord e sud del mondo, sino ad individuare tanti sud che arrivano ad essere presenti qui nel nord ricco: un nuovo concetto di periferia che va a comprendere fasce sempre più larghe delle classi medie della popolazione, settori dell'industria che arrancano sempre di più e stentano a reggere la concorrenza globale, i nuovi migranti poveri.

Globalizzazione = imperialismo:
- 25 gruppi bancari controllano tutte le transazioni dell'intero pianeta
- 5 multinazionali gestiscono il 90% della distribuzione agricola
- logiche di profitto e non di giustizia

Le nuove periferie iniziano a raccordarsi su una base di speranza e di nuove proposte di cambiamento. Bisogna ribaltare i concetti di sviluppo che sono stati proposti sino ad oggi, le inique politiche di privatizzazione dettate dal FMI che stravolgono le economie di stati interi e li lasciano poi agonizzanti, come le ondate liberiste negli anni '80 in Sudamerica (Brasile e Argentina): con l'idea di alleggerire la presenza dello Stato nell'economia, si sono svendute ad aziende straniere le ricchezze più redditizie dei paesi latinoamericani (comprese le telecomunicazioni e le aziende del settore energetico) facendo così aumentare il debito interno. Le cifre ottenute con la svendita sono state impiegate per colmare il debito estero, e quindi nelle casse degli Stati non è entrato nemmeno un centesimo.

Resta intanto irrisolta la questione della riforma agraria e della ridistribuzione della terra ai contadini, poiché si andrebbe ad intaccare una struttura di potere ormai consolidata da decenni.

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