...I politici, quando non riescono a risolvere i veri problemi, cercano come sempre un capro espiatorio. Il piccolo, quello che nessuno vedeva mai, prende improvvisamente un'importanza vitale. Il pacchetto sicurezza e il dibattito nazionale si concentrano sul problema della microcriminalità e... dei lavavetri...(Fonte: Internazionale 716 del 1 novembre 2007. Autore: KARIM METREF è nato in Algeria nel 1967 ed è in Italia dal 1998. Giornalista e scrittore, cura il sito www.letterranza.org, dedicato alla letteratura degli immigrati in lingua italiana)
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Ne “I fratelli Karamazov” di Fedor Dostoevskij l'ambientazione è la Spagna del Cinquecento, all'apice del trionfo dell'Inquisizione. Lì incontriamo il Grande Inquisitore, un cardinale la cui figura è ispirata a quella di Tomàs de Torquemada, uno dei più sadici torturatori della storia. Secondo l'Inquisitore, il desiderio di libertà non è universale. In realtà, osserva, la libertà spaventa la gente. Terrorizzati all'idea di assumersi la responsabilità delle loro scelte e tormentati dal senso di inadeguatezza, gli esseri umani preferiscono delegare le decisioni a un dittatore. Gli esseri umani, secondo l'Inquisitore, cercano istintivamente "il miracolo, il mistero e l'autorità". Ma il Grande inquisitore ha veramente ragione a proposito degli esseri umani? E davvero inevitabile che siano deboli, fatalisti e autodistruttivi? A questo punto entra in scena il messia cristiano. All'inizio del racconto di Dostoevskij, Cristo arriva in Spagna. Quando il popolo comincia a raccogliersi intorno a lui, l'Inquisitore lo fa arrestare. Rimprovera Cristo di aver rinunciato a conquistare il potere terreno. Come gli è venuto in mente di farsi uccidere? Perché non è sceso dalla croce, dimostrando la sua immortalità? Ma Cristo non si difende, e l'Inquisitore è costretto a cercare di vedere le cose dal suo punto di vista: anche le persone più crudeli si ammorbidiscono se non si reagisce alla loro rabbia. Verso la fine del colloquio, la compostezza di Cristo scuote le certezze dell'Inquisitore: comincia a sospettare che non abbia ostentato la sua vera natura perché voleva che gli uomini lo seguissero liberamente. Pensate che rivelazione: un bruto intravede la possibilità che la libertà di scelta trionfi sulla forza. [...] Da 1.400 anni, gli sciiti si battono per la libertà di pensiero, di coscienza e di culto come atto di sfida al potere dei sunniti. Dopo essere stati sconfitti sul campo di battaglia, gli sciiti hanno costruito l'epica della sconfitta e del sacrificio. È un'epica che ricorda ai credenti di essere umili perché il dissenso tiene a freno i tiranni - anche se poi l'ayatollah Khomeini ha ripreso questa filosofia travisandola. Se il primo ministro iracheno Nurial-Maliki abbracciasse l'identità sciita tradizionale e non la sua versione deviata proposta da Teheran, potrebbe dar vita a una vera rivoluzione. (Riferimento: INTERNAZIONALE 712, 28 SETTEMBRE 2O07, autore: Irshad Manji)
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