L'imperialismo che stiamo vivendo oggi è lo stadio supremo ed ultimo di sviluppo del capitalismo.
Il rafforzamento delle posizioni della borghesia, la crescita impetuosa dei monopoli, la folle espansione coloniale sono i fenomeni che alla fine del XIX secolo determinavano la situazione economica e politica dell'Europa. Essi stavano ad indicare che era iniziato il passaggio del capitalismo ad un nuovo stadio, quello imperialista.
Se si volesse dare la definizione più concisa possibile dell'imperialismo, si dovrebbe dire che esso è lo stadio monopolistico del capitalismo; la sostanza economica dell'imperialismo sta nella sostituzione della libera concorrenza da parte dei monopoli.
Agendo secondo le leggi di selezione "naturale", la libera concorrenza non poteva non produrre il proprio opposto: il monopolio. Il consolidamento di un pugno di giganti industriali procedeva di pari passo con la fine e la rovina dei concorrenti deboli: delle piccole e medie aziende. I processi della concentrazione della produzione e della centralizzazione del capitale portano a far sì che nei settori più importanti dell'industria la parte fondamentale della produzione comincia ad essere realizzata da una cerchia sempre più ristretta di imprese. Si creano in tal modo le premesse perché esse concordino di porre fine alla concorrenza e di stabilire dei prezzi di monopolio. Tale possibilità si consolida via via che si rafforza la posizione di monopolio sul mercato mediante la conquista delle fonti di materie prime, della rete commerciale, dei trasporti e degli altri fattori materiali che consentono la riproduzione allargata del capitale. I profitti di monopolio accrescono le possibilità di nuovi investimenti in impianti moderni, il che aumenta il grado d'efficenza e il rendimento della produzione. La forma azionaria permette alle grandi ditte, che stabiliscono stretti contatti con le banche, di mobilitare una parte considerevole delle risorse monetarie delle imprese e di utilizzarle per l'ulteriore incremento della loro potenza produttiva e per il consolidamento delle posizioni di mercato.
Il monopolio esercita una duplice influenza sulle forze produttive. Accentuando il carattere sociale della produzione, esso ne stimola obiettivamente lo sviluppo. Però il monopolio genera al tempo stesso tendenze che portano all'imputridimento e al rallentamento del progresso tecnico. Con il monopolio il profitto può aumentare non solo mediante l'incremento della produzione e la riduzione dei costi di produzione, ma anche con un contenimento dello sviluppo e perfino con una riduzione diretta della produzione e l'aumento artificioso dei prezzi. I monopoli più grandi sono in grado di acquistare i brevetti di maggior prospettiva per impedire che vengano introdotti nel processo produttivo e che i concorrenti si rafforzino. Tuttavia, a tale comportamento dei monopoli, derivante dalla loro natura economica, si contrappone la concorrenza degli altri monopoli sia all'interno del paese sia nel mercato mondiale. Dunque la tendenza all'imputridimento propria al monopolio e le possibilità di una rapida crescita pure insite in esso coesistono l'una accanto alle altre.
Partendo dall'analisi dei processi di concentrazione e monopolizzazione della produzione, si formulano i cinque contrassegni economici dell'imperialismo che contraddistinguono il nuovo stadio di sviluppo della società dal capitalismo della libera concorrenza:
1) la concentrazione della produzione e del capitale, che ha raggiunto un grado talmente alto di sviluppo da creare i monopoli con funzione decisiva nella vita economica;
2) la fusione del capitale bancario col capitale industriale e il formarsi, sulla base di questo "capitale finanziario", di un'oligarchia finanziaria;
3) la grande importanza acquisita dall'esportazione di capitale in confronto con l'esportazione di merci;
4) il sorgere di associazioni monopolistiche internazionali di capitalisti che si ripartiscono il mondo;
5) la compiuta ripartizione della terra tra le più grandi potenze capitalistiche.
All'inizio del XX secolo, il dominio dei monopoli era tipico soprattutto per i settori dell'industria pesante. Oggi la struttura monopolistica si è estesa a quasi tutte le sfere dell'economia e i monopoli, peraltro, attraggono nella loro orbita anche la sfera non produttiva. Un fatto tipico degli ultimi 40 anni è la penetrazione dei grandi monopoli in settori "estranei": ha luogo l'accaparramento di ditte ed aziende che servono ad integrare il complesso produttivo del monopolio o anche non aventi nessun legame tecnologico con esso. Crescono rapidamente gigantesche società, che sono dei conglomerati nei quali, sotto l'insegna di un solo monopolio, sono raggruppate aziende dei settori più diversi.
L'economia del capitalismo contemporaneo dimostra il legame diretto esistente tra il primo e il secondo contrassegno dell'imperialismo: tra la crescente concentrazione della produzione e del capitale e l'aumento di potere dell'oligarchia finanziaria. Il capitale finanziario, che sorge e si sviluppa sulla base degli stretti legami che si stabiliscono tra il capitale dei monopoli industriali e quello dei monopoli bancari, porta all'aggravamento di tutto l'insieme delle contraddizioni sociali. Si assiste non solo all'intensificarsi dello sfruttamento dei lavoratori, ma anche all'aggravarsi delle contraddizioni all'interno della stessa classe dominante: un piccolo gruppo costituito dall'oligarchia finanziaria si appropria dei superprofitti di monopolio e si contrappone in tal modo non solo ai lavoratori, ma anche ad un vasto strato di piccola e media borghesia, allontanato dalle più vantaggiose fonti di guadagno.
Dopo la seconda guerra mondiale l'oligarchia finanziaria ha riorganizzato a fondo tutto il sistema degli enti bancari, ottenendo praticamente il controllo di tutte le risorse monetarie temporaneamente libere della società, inclusi i risparmi dei lavoratori depositati nei loro vari istituti assicurativi. La fusione delle maggiori banche con i monopoli industriali ha fatto sorgere delle potenti concentrazioni di capitale - i gruppi finanziari - i cui partecipanti sono strettamente legati tra di loro dal reciproco possesso di azioni, da alleanze personali, dalla comunità di interessi nella lotta concorrenziale. I gruppi finanziari si servono di vari sotterfugi per sottoporre al loro controllo una vasta sfera dell'economia.
L'accumulazione di un'enorme massa di capitali nelle mani dell'oligarchia finanziaria continua ad essere la fonte più importante per la loro esportazione all'estero. L'importanza dell'esportazione del capitale come strumento dei monopoli nella lotta per i mercati e le sfere di influenza è oggi ancor più grande di quanto non lo fosse nell'era degli imperi coloniali. Proprio l'esportazione del capitale è lo strumento principale di cui il capitale finanziario si serve per lanciare le sue reti in tutti i paesi del mondo. L'esportazione di capitale all'estero diventa un mezzo per favorire anche l'esportazione delle merci. E oggi, partendo dall'aumentata esportazione di capitale, ha luogo l'ulteriore sviluppo del processo di internazionalizzazione dell'economia mondiale e si accentua la penetrazione dei monopoli nell'economia degli altri paesi.
Non potendo negare la crescita colossale delle esportazioni di capitale, i grossi investitori si basano sulla circostanza del sostanziale aumento delle esportazioni di capitali statali sotto forma di prestiti e crediti a lungo termine, nonché di sussidi e stanziamenti a fondo perduto per i programmi di "aiuto" ai paesi in via di sviluppo. L' "aiuto", i sussidi e i prestiti statali sono nei paesi in via di sviluppo uno strumento di politica economica che ha lo scopo di assicurare alti profitti ai monopoli privati. I crediti e i "doni" concessi comportano molto spesso per i paesi che li ricevono l'obbligo di spendere il denaro nell'acquisto di merci del paese erogatore. L' "aiuto" ha lo scopo di creare nei paesi in via di sviluppo un "clima politico" favorevole ai monopoli privati esportatori di capitali, di liberarli dalla minaccia di nazionalizzazione delle aziende straniere.
Un logico risultato dei processi di concentrazione del capitale su scala mondiale e dei suoi intrecci internazionali è stata la formazione di monopoli internazionali. Quello che caratterizza l'imperialismo è una cosa che prima d'ora non esisteva, cioè la spartizione economica del mondo tra i trust internazionali, la spartizione dei paesi tra questi trust in base ad un accordo tra loro, come zone di sbocco. Il processo di sviluppo dei supermonopoli internazionali ha avuto come risultato che un pugno di monopoli è quasi padrone assoluto del mercato capitalistico mondiale.
Per un fenomeno di evoluzione e traslazione, le potenze imperialistiche cercano di recuperare e anche di estendere le posizioni economiche perse in seguito al crollo del sistema coloniale. Oggi la competizione imperialista porta inevitabilmente alle guerre per la ripartizione del mondo, per i mercati di sbocco e le fonti di materie prime.
Diventa sempre più profondo il baratro tra il livello di sviluppo dei principali paesi del nord ricco e i restanti paesi del sud del mondo. L'epoca contemporanea si è contraddistinta per l'enorme aumento del carattere contradditorio, conflittuale dello sviluppo di tutti gli aspetti della vita economica e politica della società.
Il meccanismo produttivo imperialista genera i fenomeni della crescita continua dell'intensità del lavoro, di una notevole inutilizzazione degli impianti, di una disoccupazione permanente che in alcuni paesi va assumendo vaste proporzioni, dell'aggravarsi quasi ovunque dei problemi dell'occupazione, dei processi inflazionistici che colpiscono il tenore di vita della popolazione. Non viene assicurata la completa utilizzazione nell'interesse della società delle gigantesche possibilità aperte dalla rivoluzione tecnico-scientifica, i cui frutti diventano patrimonio del capitale monopolistico e contribuiscono soltanto ad accrescere i superprofitti.
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